In Laos, per incontrare l’incantevole mondo di Heidi, bisogna andare a Luang Prabang, prendere un tuk tuk e fare poco più di trenta chilometri che ti portano in un luogo dove …il fluttuare del Megong sorride ai monti , gli elefanti ti fanno Ciao…e qui c’è un mondo fantastico! La natura sembra un presepe, le dolci montagne verdi smeraldo incorniciano un quadro d’altri tempi. La nebbia lieve del mattino sembra la polvere di un vecchio dipinto che scivola nel vento al sorgere del sole.
Antiche grotte intarsiate nella roccia come merletti su un damasco prezioso ed i fedeli che attraversano il Mekong per portare il cibo per ringraziamento o per semplice fedeltà.
Il fiume Mekong (Il settimo fiume più lungo del mondo, ben 4880 chilometri) scivola, dolce, e nutre i villaggi, abbarbicati su sponde lievi, dove i bambini cantano la loro libertà e le donne lavano e fanno l’orto.
Un presepe, dove tutti sono protagonisti di una vita che scorre lenta e solare. Ed eccoli, all’improvviso, i giganti dalla pelle preistorica. Più piccoli dei fratelli africani ma comunque immensi, gli elefanti alzano le loro grosse patte lentamente smuovendo il mondo intorno. E si comportano come bambini giocherelloni quando allunghi loro una banana.
È bello vederli lì, in quel dipinto di un autore sconosciuto.
Ed i cirri di panna danzano in cielo, per completare l’opera della natura. Questo luogo si trova a poco più di trenta chilometri da Luang Pradang, nel nord del Laos, ultima tappa del mio viaggio in questo paese, prima del breve volo che mi porterà in Thailandia. Ma ho voluto iniziare dalla fine perché questo posto mi ha davvero lasciato un senso di pace e serenità, di contatto con quella natura che in questo angolo dell’Asia è ancora rispettata. Il luogo e’ poco oltre il villaggio di Xanghay, famoso per le tessitrici ed i produttori di whisky di riso, un liquore artigianale in tre versioni, due da 15 gradi dolciastre e bevibili, ed una da 55 gradi, il cui solo odore brucia lo stomaco.
Le tessitrici lavorano lungo la strada del villaggio
Luang Pradang è patrimonio dell’Unesco, una tranquilla cittadina sulle rive del Mekong, con una lunga via di casette coloniali con splendidi balconi di legno color mogano. Molte sono state trasformate in ristoranti o negozi per la gioia dei turisti.
Tutto ruota intorno al Pho Si Mountain, la montagnetta verde, simbolo della città. Al tramonto orde di turisti (tantissimi cinesi in fila indiana) salgono gli scoscesi gradini per gustare il calar del sole sul fiume da un’altezza privilegiata che mostra la città in totalità, da una parte il Mekong e dall’altra un suo affluente, il Nam Khan.
Quest’ultimo lo si può attraversare a piedi su un famoso ponte di bamboo, che esiste solo sei mesi all’anno: nella stagione delle piogge viene tolto perché le forti correnti lo porterebbero via. E rinasce con l’arrivo della stagione secca.
A Luang Pradang c’è una tradizione che richiama turisti da ogni dove: all’alba ci si ritrova lungo la via principale, in attesa della processione di monaci che passano per la questua. I turisti offrono riso che viene riposto dal fedele nella ciotola che i monaci trasportano a tracolla. Per un buddista donare cibo ad un Monaco è un rito molto importante: in questo modo il fedele si guadagna un merito accelerando così la strada verso il Nirvana e quindi migliorando la propria condizione sociale. La cerimonia chiamata Tak Bat è autentica, ma purtroppo la tradizione sta assumendo un carattere un po’ troppo turistico. Mi hanno detto che una volta c’erano pochi turisti e molti monaci, oggi invece, autobus pieni di asiatici si fermano all’ingresso della città e le persone si accampano su seggiolini di plastica lungo la strada in attesa di quei pochi monaci che continuano la tradizione. Flash irriverenti e squittii poco rispettosi del significato spirituale di un gesto atavico pullulano tra i “fedeli”.
Verso sera la strada si riempie di tende rosse: le bancarelle del mercato spuntano come funghi, per quei turisti che vogliono portare a casa un ricordo del Laos, da oggetti in bamboo, a stoffe più o meno preziose, a gioielli fatti con pezzi ricavati dalle bombe dinissescate, a semplici t-shirt con il simbolo della birra locale: ce n’è per tutti i gusti. Così come l’area dedicata al cibo. Fumanti cucine all’aperto, barbecue roventi pronti a cuocere deliziosi pesci del Mekong (dalla carne straordinariamente delicata), o verdure dai mille colori e sapori, o zuppe profumate. Uno Street Food d’eccellenza con poca spesa: vale davvero la pena.
Ma ora ripartiamo dall’arrivo in Laos, dal Sud.
All’aeroporto internazionale di Vientiane il visto turistico ai cittadini italiani viene rilasciato velocemente: basta compilare il formulario e pagare 35 dollari (non è neanche più richiesta la foto). Pochi chilometri e si arriva nel centro. Di cosa? In una afosa domenica invernale, con le strade vuote e poche finestre aperte sembra di essere arrivati in un paesone di periferia. In realtà siamo a Vientiane, la capitale del Laos.
Dopo il caos demenziale delle città vietnamite, sembra di essere catapultati in una città abbandonata. Le scarse motociclette si fermano e ti lasciano passare e noi restiamo a bocca aperta di fronte a quella che dovrebbe essere normale civiltà. La città silente si anima verso sera, quando il lungofiume si prepara al calar del sole. La gente si siede sulle gradinate, sorseggiando una birra locale comprata dai venditori ambulanti e guarda il sole che cala sulla sponda opposta, in Thailandia.
Purtroppo il cielo è coperto ed il tramonto non si vede.
Verso le 18 apre il mercato sul lungofiume. Centinaia di gazebi rossi espongono la loro merce a pochi euro, tra questa molte contraffazioni di brutta fattura ed abiti spugnosi taglia extra small, made in Cina. Molti acquirenti locali che sfilano alla ricerca del loro piccolo sogno, tra contrattazioni amichevoli.
Come tutte le città laotiane, Vientiane pullula di templi buddisti. L’emblema del Laos è il Pha That Luang, il grande stupa, un’imponente struttura con una cupola che era coperta da lamine d’oro.
La sua funzione è il reliquiario, una leggenda laotiana narra che all’interno della stupa vi siano addirittura le reliquie del Buddha. Si trova fuori città a pochi chilometri, raggiungibili comodamente con i tuk tuk che pullulano lungo la strada.
Passeggiando per la città, dietro case più o meno anonime, appaiono templi silenziosi, splendenti di luce dorata, allegri nei loro colori vividi ed intensi.
L’altro simbolo della città, è il così detto Arco di Trionfo, il Patuxai. Il monumento, che sorge in mezzo a giardini ed una piazza, che ricorda uno dei simboli di Parigi, fu costruito per celebrare l’indipendenza laotiana dalla Francia.
Il Laos è stato colonizzato per molti anni dai nostri amici d’oltralpe (dal 1899 al 1953 Vientiane fu la capitale dell’indocina) e l’influenza francese è evidente anche nella cucina: la baguette è onnipresente e la cucina fusion sposa la raffinatezza francese alla cultura locale, tipicamente orientale.
Ma c’è un posto a Vientiane che merita una visita: il Cope Center (l’acronimo COPE significa Cooperative Orthotic & Prosthetic Entreprise), un museo che ti apre il cuore. Il Laos ha il triste primato di paese più bombardato della terra. Durante la guerra del Vietnam 270 milioni di tonnellate di bombe sono state sganciate dagli Stati Uniti: è come se per 9 anni, 24 ore al giorno, ogni 9 minuti venisse lanciata una bomba. Oggi pare che ci siano ancora almeno il 30% di bombe inesplose, soprattutto nelle zone rurali. Il Cope ospita un centro visitatori. Un filmato illustra il problema assolutamente attuale degli ordigni inesplosi (UXO) e mostra come il centro sia importante perché maggior fornitore di protesi per le persone dilaniate dalle mine.
Amo andare a zonzo per le città, senza meta, cercando di osservare la vita normale, anche in quelle città che non spiccano di personalità, con monumenti o bellezze particolari. Credo che viaggiare sia anche questo, catturare la normalità, non avvincente, ma che magari caratterizza un certo luogo.
Anche il palazzo presidenziale è silenzioso, in una calda giornata invernale.
I tuk tuk sono onnipresenti : gioiosi mezzi di trasporto che spuntano come formiche. Anche con loro trattare è d’obbligo: sembra quasi che se non si avvia una negoziazione la giornata scorra troppo veloce ed in Laos la vita deve avere i suoi tempi….dolci e lenti!
Una chicca, non turistica, a Vientiane, è il piccolo mercato di Ban Anou Street (Night Market), dove la gente locale viene a comperare il cibo pronto da portare a casa, una vera straordinaria gastronomia a cielo aperto. Dal meraviglioso barbecue di anatra, alle rane fritte, dal pesce stufato nella foglia di banano, ai gamberi, belli, grandi, con salsa di pomodoro piccante, alle insalate dai mille colori con papaya e frutti del drago che sembrano dipinti, fino all’esplosione di proteine, nei piattini di grilli e larve. Non fate gli schizzinosi, qui il cibo è servito con guanti da chirurgo…..credetemi, ho lavorato in ristoranti (anche uno rinomato a Montecarlo!) ed avrei tanto voluto vedere questa pulizia!
Tornando al mercato serale di Vangtong, quello che scorre parallelo al fiume Mekong, le proposte culinarie sono infinite: fatevi sedurre dai tanti ristorantini che aprono nel tardo pomeriggio ed assaggiate le specialità della cucina popolare, frutto di tante influenze anche occidentali.
il Laap è un piatto a base di carne tritata (pollo, maiale, manzo, anatra o pesce), insaporito con succo di lime, aglio, riso, verdura ed erbe aromatiche, servito con un piccantissimo peperoncino (a parte, per quegli stranieri che osano forte)
il piatto è accompagnato dal Riso Appiccicoso, un contorno per moltissimi piatti. Si tratta di un riso umido e glutinoso che deve essere mangiato con le mani. Non guardate l’aspetto poco fotogenico, in realtà è ottimo sostituto del nostro pane ed è perfetto anche per raccogliere i sughetti più piccanti e profumati.
Anche se lo sticky rice è conosciuto come riso glutinoso in realtà di glutine non c’è traccia. È un tipo di riso dalla digestione più lenta rispetto al riso bianco a vapore, quindi l’effetto sazietà dura più a lungo. Ed ecco quindi spiegato perché sia così diffuso in Laos: è il cibo perfetto per una società povera e principalmente agricola come questa.
L’influenza fortissima francese la si trova in un’altra istituzione Laotiana, il Khao Jee Sandwich, una fresca, croccante profumata baguette francese ripiena di tutto. Mi sono davvero sentita a casa. Un panino meraviglioso, spesso abbrustolito, quindi caldo e croccantissimo, ripieno con lattuga, carote, pomodori, avocado, o salsiccia e peperoncino e aglio. A volte viene servito in meravigliose foglie di banano. Uno spuntino che si trova ovunque, dai venditori di strada ai ristoranti.
Un altro piatto tipico è la Noodle Soup, una succulenta zuppa di noodle con pollo o manzo e verdure (Khao Piak Sen). Per quelli timorosi dei piatti locali, sappiate che tutti i cibi sono sempre preparati al momento e non vengono conservati. Se proprio non vi fidate, tralasciate le freschissime (e deliziose) verdure crude e prendete i cibi cotti, spesso rosolati in latte di cocco.
Per gli amanti dell’insalata di papaya Thai, sappiate che qui avrete una sorpresa : il gusto è molto salato ed ha un sapore più forte e speziato. Non so se è l’aggiunta della salsa di pesce fermentata che la rende un po’ acidula, ma francamente a me non è piaciuta. Per gli amanti del pesce, esiste un piatto simile all’Amok cambogiano: il Mol Pa è un piatto di pesce cucinato con citronella, foglie di lime kaffir, salsa di pesce e peperoncino. Il pesce è avvolto in foglie di banano e cotto a vapore.
Per innaffiare un buon pasto locale non può mancare una fresca ed economicissima birra locale, la BeerLao, ottima, mentre per gli amanti della frutta i succhi freschi sono venduti nelle bancarelle presenti ovunque.
Una strada piuttosto banale porta da Vientiane a Vang Vieng. Poco più di centocinquanta chilometri, con un percorso dissestato e macchine operatrici in azione che si preparano a costruire la nuova strada (naturalmente tutto Made in China). Ed eccoci a Vang Vieng: un paesaggio carsico circonda questa cittadina sul fiume Nam Song. La città è nata come la capitale del “tubing”, cioè sdraiarsi su una camera d’aria e lasciarsi trasportare dalla corrente del fiume: sembrerebbe divertente. In realtà ragazzi da tutto il mondo si ritrovavano qui per sballarsi e perdersi nel micidiale mix di oppio ed alcool, tra cui l’economico whisky locale Lao-Lao, che qui costa meno caro dell’acqua d’importazione, o i funghi allucinogeni, o le droghe sintetiche. Tra ex brutti edifici comunisti convertiti ad ostelli e guesthouse a pochi dollari, questo posto è diventato tristemente famoso. Molti giovani hanno perso la vita in questa roulette russa, arrivati qui, principalmente dall’Europa, USA e Australia, per perdersi. Per aumentare l’adrenalina sono nati fuori città molti luoghi creati per divertirsi: arrampicate senza corde, zip Line, corse in canoe che si muovono di notte senza luci lungo il fiume, tuffi da rocce a picco su un fiume acciottolato …..peccato che di questi luoghi ne siano spuntati molti per soddisfare l’improvviso incremento del turismo, senza pensare minimamente alle misure di sicurezza. In seguito al ritrovamento di alcuni ragazzi, deceduti facendo attività sotto l’effetto della droga, alcuni locali sono stati chiusi e la polizia è stata costretta ad aprire un occhio…. già pare solo uno, l’altro forse, ogni tanto, guarda ancora da un’altra parte. Con la chiusura di molti locali “specializzati in dannazione”, la situazione è migliorata, e la città vuole riproporsi come meta eco-friendly, attirando un turismo crescente di coreani e cinesi, anche se ogni tanto zombie si materializzano ancora per le strade, figure vagamente spettrali che camminano stropicciate alla ricerca del fantasmagorico mondo del nulla.
Ma per il turista normale Vang Vieng è comunque una deliziosa cittadina, da dove partono escursioni naturali piene di interesse. Le Blue Lagoon, le Lagune Blu, sono raggiungibili con pulmini, taxi, tuk tuk o buggy. La strada è solo parzialmente asfaltata, e attraversa villaggi e risaie, fino a quando deviazioni portano ai piedi di colline rocciose, dove piscine naturali attendono i turisti. Le Blue Lagoon sono parecchie.
Noi abbiamo affittato la mitica buggy , ed abbiamo fatto il giro di quasi tutte le lagune, affrontando le strade polverose circondate da colline aguzze di vegetazione lussureggiante.
Ogni tanto un guado si presenta all’improvviso.
Nelle Lagune, purtroppo, non ho trovato quel blu descritto dalle cartoline, ma acque azzurro-verdognole piuttosto deludenti. Orde di ragazzini si tuffano in acqua o giocano a fare i Tarzan, lanciandosi da corde appese. Una specie di parco giochi per semi adulti, in quello che dovrebbe essere un ambiente naturale protetto.
La Laguna che più ci è piaciuta è la 3, perché conserva ancora una parte selvaggia.
La 5, la più distante, è bella dal punto di vista naturale, peccato che sia perennemente in ombra.
La laguna 2 essendo la più vicina alla città, è affollatissima e sembra davvero una brutta piscina con tutte le sfumature che vanno dal verde bottiglia al marrone mogano.
A parte le lagune, il paesaggio intorno è bellissimo, la strada sterrata, con molti ponti di quel legno che ha conosciuto giorni migliori,
e dolcissime mucche ciondolanti che sculettano alzando polvere,
è divertente e gli oltre sessanta chilometri sono stati un’immersione nella natura.
In città c’è un posto idilliaco dove alloggiare: il Riverside Boutique Resort, adagiato sulle dolci rive del Mekong. Lo stile coloniale molto chic, la piscina circondata da palme e la vista sulle montagne carsiche color verde smeraldo, sembra un quadro d’autore.
L’aperitivo si gusta guardando il Mekong scorrere lento sotto un cielo rosa.
E per chi ha nostalgia di casa un ristorante francese vi attende con vista mozzafiato su entrambi: fiume e montagne.
L’Hotel ha prezzi molto economici per noi occidentali, considerando il servizio e la location.
Camminando lungo le rive del fiume tanti ristoranti con vista, propongono cucina locale.
E si riparte verso l’ultima nostra destinazione in Laos.
La vegetazione lussureggiante copre la roccia lavica e fa assumere strane forme alle montagne che collegano Vang Vieng a Luang Pradang. Si sale fino a 1800 metri tra panorami mozzafiato, tra risaie e paesi dai ritmi lenti, con case di legno e tetto di lamiera, e banchetti che vendono mandarini e qualche ristorante con barbecue e patate dolci o gli immancabili noodles.
La strada a tratti è polverosa, e all’improvviso la vegetazione si ferma per lasciare posto alle rocce smorfiose e ridanciane che sfiorano le nuvole.
Un viaggio d’immersione in madre natura che ci stupisce sempre con i suoi colori, fino ad arrivare nell’incantevole mondo di Heidi che vi ho descritto all’inizio.
E mentre salgo la scaletta del volo che mi porterà in Thailandia saluto quella che era chiamata la «Terra del milione di elefanti», quella terra che è stata colonia francese fino al 1953, poi bombardata dagli americani durante la guerra del Vietnam, quella terra che ha aperto le frontiere al turismo solo trenta anni fa, dopo essere rimasta isolata per decenni durante il periodo in cui c’era al potere il Partito Rivoluzionario del Popolo Lao.
Au Revoir, arrivederci Laos