Marocco n.2 Da Fes a Marrakech a Essaouira, attraversando le montagne dell’Atlante

A Proseguendo verso le Montagne dell’Atlante, la strada si inerpica attraverso verdi colline, pascoli e giardini rocciosi.

In una piccola oasi scimmiette dispettose come saltimbanchi

 

Dai 1800 metri spunta la prima neve, tra verdi cespugli ingrugniti e pecore dal folto manto.

A 2200 metri l’aria è pungente anche in una soleggiata giornata autunnale. La strada continua tra alti e bassi, tra villaggi berberi semi abbandonati, e torri di sabbia. 

Il risveglio di un’alba marocchina sotto un cielo rosa,  circondati da rocce rosa e ocra e cipria, che lentamente si infiammano di giallo.

Le palme del deserto roccioso sono grossi ananas con ciuffi che fanno stretching verso il cielo. 

La via verso Tinghir è rossa ed arida, poi all’improvviso il cielo si annuvola e la strada grigia è circondata da un deserto roccioso marrone grigio, di quel colore spento che non sa di nulla, piatto, senza sfumature. Quel colore che sa di noia. Anche i cespugli hanno assunto la sfumatura della noia. Chilometri e chilometri di noia, dove spereresti almeno di vedere spuntare una qualsiasi anima viva per dare un tocco di allegria alla monotonia.

Poi all’improvviso un’oasi, un grande alveare verde con appezzamenti coltivati, un agglomerato urbano fatto di case di mattoni di fango tutte uguali, come un dipinto, con uomini seduti davanti ai bar con in mano il loro the dolcissimo alla menta, le ragazze davanti alle scuole, le donne con la spesa.

 

E, veloce, ancora  il grigio che sa di nulla. 

Tinghir è una chicca, una bella cartolina nel deserto roccioso, una sosta piacevole per fare scorta di frutta al mercato o concedersi una profumata tajine a colazione.

 

 

Arrivati alle  gole di Todra, la delusione di un posto che ormai ha perso la sua magia. Una strada costruita in mezzo alle rocce, i pullman che sostano, scaricano orde di cinesi dal clic veloce, i venditori di finti copricapi berberi made in India. Una strada in calcestruzzo prosegue su per la valle, disseminata di hotel  vicino all’entrata della gola. Grazie alle robuste pareti rocciose, con molte superfici irregolari, le gole di Todra sono meta di molti alpinisti. Più di 100 itinerari, classificati tra il grado + 5 e 8 sono a disposizione nel canyon. Un gruppo di giovani si cimenta a scalare la parete rocciosa proprio accanto alla strada.

 

Per trovare un ambiente non deturpato bisogna lasciare la strada principale e prendere un sentiero che attraversa il fiume e camminare senza una vera meta per un’ora o più. Se avete fortuna, come me, troverete dei berberi che camminano con voi verso casa, con i loro inseparabili amici, asinelli carichi di quel poco che per loro vale molto. I berberi sono uomini duri, abituati a vivere in un paese che non sempre è generoso. Ma sono anche uomini fieri, orgogliosi. Sono indigeni nordafricani che hanno abitato le coste settentrionali dell’Africa comprese tra l’attuale Marocco e l’Egitto, per almeno 5.000 anni. L’invasione araba del nordafrica nel settimo secolo li ha costretti a rifugiarsi nelle montagne dell’Atlante, per non rendersi schiavi ad altre culture. Quasi il 33% della popolazione del Marocco è di origine berbera, sebbene solo la metà di essi ne ha mantenuto la cultura e lo stile di vita. I berberi hanno adottato l’islam come propria religione.

La strada continua tra villaggi, dove l’economia principale è la produzione di olio di argan. L’olio di argan è l’olio estratto dai semi della pianta di Argania spinosa, endemica di queste zone. È particolarmente apprezzato per le sue proprietà nutritive, cosmetiche e medicamentose. Qui lavorano cooperative di donne dedite alla raccolta dei frutti assicurando la protezione e la riforestazione di tali piante.La raccolta avviene quando il frutto ormai secco cade dalla pianta e viene raccolto da terra, nei mesi di giugno e luglio. La raccolta dei frutti (non le noci) è tutt’oggi manuale. In passato, una volta estratti i noccioli dai frutti e le mandorle dai noccioli, queste ultime venivano messe in un tipico strumento che, attraverso il loro sfregamento meccanico e l’aggiunta di acqua, produceva una pasta chiamata “Malaxage” contenente il 50% di olio di argan. Dal massaggio manuale della Malaxage si ottiene l’olio di argan. Per ottenere olio di argan per uso alimentare le mandorle vanno tostate prima dell’ottenimento della Malaxage. Con questo metodo la resa sul peso dei noccioli varia dal 30% al 35%. Sono necessarie 58 ore di lavoro per ottenere questa quantità di prodotto. L’olio di argan, ottenuto con metodo tradizionale, contiene una rilevante percentuale di acqua che ne limita la conservazione nel tempo, per i naturali fenomeni di ossidazione. Pertanto le donne berbere conservavano i frutti per tutto l’anno e producevano piccole quantità di olio in base ai bisogni di consumo della loro famiglia. Tutto veniva usato: il guscio dei frutti secchi, dato come alimento al bestiame, i residui dei noccioli aperti, utilizzati per accendere il fuoco, e la pasta Malaxage come ingrediente della ricetta tradizionale del “Sapone nero”, tipico delle regioni nord africane e medio orientali, utilizzato nell’Hammam. A partire dai primi anni del 2000 al metodo di lavorazione manuale si è progressivamente affiancato il metodo di estrazione moderno che prevede l’impiego di diversi macchinari. Le mandorle ottenute dall’apertura dei noccioli vengono lavorate attraverso una tramoggia che le macina e spreme progressivamente, sino all’ottenimento dell’olio non filtrato, che appare molto torbido per la presenza di frammenti. L’olio ottenuto a questo punto della lavorazione, viene filtrato. Una moderna macchina può estrarre sino a 10 litri per ora a differenza delle modeste quantità del metodo tradizionale. I sottoprodotti del moderno metodo di lavorazione sono esclusivamente i residui secchi delle mandorle spremute, che attualmente vengono impiegati come cibo per gli animali. Attraverso il metodo moderno la resa sul peso del noccioli varia dal 40 al 45%, pertanto, da circa 100 kg di frutto secco si ottengono circa 7,2 kg di nocciolo da cui derivano circa 6,5 kg di mandorle da cui si ricavano circa 3,25 kg di olio di argan. Con questo metodo il tempo necessario per pressare un Kg di mandorle si riduce da 3 a 4 volte. Con il metodo moderno meccanico non si deve aggiungere acqua per la lavorazione del malaxage, ottenendo così un olio di argan capace di conservarsi molto più a lungo rispetto a quello ottenuto con il metodo tradizionale. È, inoltre, dimostrato che l’estrazione eseguita con i metodi moderni ed industriali, tramite pressa, non altera né la composizione chimica, né le caratteristiche fisico-chimiche dell’olio di argan. Nella cosmesi, come altri oli vegetali, è sfruttato principalmente come emolliente, lisciando e ammorbidendo la pelle. Per ottenere l’olio di Argan per uso alimentare è necessario tostare preventivamente i semi. L’olio così ottenuto ha un colore più scuro ed un odore torrefatto. Può essere utilizzato come condimento per il pane, il couscous e le insalate.Tradizionalmente, l’olio di argan è stato conosciuto per le sue proprietà cardio protettive e per il trattamento di infezioni della pelle.

I poco più di 100 km che separano le gole di Todra da Ait BenHaddou sono una traversata tra splendidi villaggi berberi, tra case di mattoni di fango e torri e palmeti, e negozi che vendono prodotti cosmetici alle rose e olio di argan. 

Il Gladiatore (diretto da Ridley Scott nel 2000), Game of Thrones, Lawrence d’Arabia (1962), Gesù di Nazareth (diretto da Franco Zeffirelli nel 1977) Cleopatra, l’ultima tentazione di Cristo (Martin Scorsese del 1988), il the nel Deserto (diretto da Bernardo Bertolucci nel 1990), Sansone e Dalila, la Mummia (1999), Alexander (Oliver Stone, 2004): benvenuti nella Hollywood del Marocco, Ait Ben Haddou, uno straordinario fondale, un teatro all’aperto.

 

La Kasbah si raggiunge  scendendo da uno spiazzo polveroso nel centro del piccolo conglomerato. Dal letto quasi secco del fiume, un piccolo ruscello che scorre in mezzo si attraversa camminando sui sacchi di sabbia che fungono da gradini. Mi avevano detto che La kasbah è un luogo straordinario per gli appassionati di fotografia. Ait Ben Haddou è stato il set di quasi tutti i film ambientati nel deserto. In realtà ormai è diventato un posto molto turistico con negozietti ovunque e molti magrebini scorbutici che ti aggrediscono non appena alzi la macchina fotografica. Un ambiente asettico, l’opposto di Chefchaouen che tanto mi ha fatto innamorare di questo paese. Un freddo pungente contribuisce a non aver neanche voglia di scattare le foto di rito, tra i cinesi che escono come  funghi dalle piccole caverne da gnomo.

 

La passeggiata sale tra stradine pieni di oggetti Made in….non certo in Marocco! fino in cima alla roccia dove si trova il Granaio fortificato. Da lì si apre un panorama a 360 gradi che spazia dalle cime dell’Atlante al deserto. Peccato per il vento gelido e qualche goccia di pioggia che inizia a scendere, ma soprattutto peccato per la poca disponibilità della gente locale, forse stufa dei tanti turisti che molto chiedono e poco danno.

I quasi 200 km che separano il villaggio da Marrakech attraversano le montagne dell’Atlante. In lontananza la neve. La strada, piena di tornanti, sale piano piano fino al passo di Tickha a 2260 metri. Alcuni venditori di bigiotteria e fossili, ed un caffè/ristorante. Il proprietario, dai ritmi lenti, mentre mi prepara un delizioso Café crème, in realtà uno straordinario cappuccino fatto con tutti i crismi, mi dice che attende la neve con impazienza. “Tra poco più di un mese ci saranno 60-70 cm di neve fresca”.  Gli dico che allora la gente non potrà venire al colle e lui non potrà lavorare. Mi risponde: “non importa, giocherò tutto il giorno  in mezzo alla neve”. Che tenero! 

 

I paesaggi incantevoli si snodano tra villaggi arroccati sulla collina, con case del colore del fango, come un grande presepe: una moschea, abitazioni molto modeste, stalle, granai e silos. Tutti sono collegati da un dedalo di tortuose stradine, e di tanto in tanto, venditori di fossili e minerali. Poi all’improvviso rocce burlesche, come grandi panettoni ricoperti di canditi o perle di cioccolato. Il paesaggio diventa a tratti brullo e sassoso, lunare, meraviglioso.

 

Luogo evocativo, la città che ha mescolato ebrei, arabi, berberi, andalusi, e africani. La sua piazza era il caravanserraglio delle carovane nomadi. Marrakech è la più mondana città del Marocco. Marrakech è una città che inebria i sensi. Marrakech è un arcobaleno di colori: dal sabbia al rosso delle mura, al blu e verde dei palazzi e Riad e giardini, ai viola delle babbucce, al verde intenso della menta fresca. Marrakech è la povertà della Medina ed il lusso di molti Riad e hotel 5 stelle, è giardini perfetti (come il Majorelle) o caos della Medina. 

Marrakech è la città rossa, 19 chilometri di mura d’argilla color ruggine, rosa e arancione che circondano la Medina.

Se  arrivate di sera in Piazza Djemaa El Fna, l’impatto è forte: giocolieri, astrologi, stregoni, incantatori di serpenti, suonatori, cantastorie, carrozze trainate da cavalli pronti a portarvi in giro per la città, mendicanti, donne in attesa di farvi un tatuaggio di henné, povere scimmiette agghindate per una foto….. sembra di vivere come Pinocchio nel paese dei balocchi.

E poi gli odori speziati ed intensi, i profumi di menta, i colori sotto i tendoni montati che aprono nel tardo pomeriggio, con i fumi delle griglie pronti ad offrire ai turisti street food. La concorrenza è spietata, sarete aggrediti da decine di ragazzi che cercano di farvi sedere al loro tavolo….spiedini, couscous, tajine, insalate, e succhi di frutta, già perché l’alcool è assolutamente proibito. La qualità è discutibile. Io sono grande amante dello street food ma è la prima volta che resto delusa, non trovo la genuinità, la semplicità e la freschezza, tranne in un’area dove sono concentrati un paio di venditori di lumache: una ciotola di brodo con delle lumache gustosissime, ricche di grassi polinsaturi omega 3, toccasana contro il colesterolo e per ridurre i rischi delle malattie cardiovascolari. Un elisir da pochi spiccioli. O i venditori di dolci: praline di cannella, miele e una punta di zenzero. 

 

Ho sentito parlare tanto ti questa mitica piazza….francamente non ho trovato quel pathos che mi aspettavo, molti turisti….. gli abitanti locali li ho visti principalmente intorno ad uno stregone che cercava di spillare soldi a dei poveracci che lo guardavano con occhi pieni di speranza. E questo mi ha un po’ chiuso il cuore. 

Ma Marrakech è anche cultura, storia, moda e mondanità. La città vecchia è il dedalo di viuzze ed un’infinità di negozietti, di vestiti, di stoffe, di amuleti per scacciare il malocchio, di henné, di bigiotteria, di babbucce, di pelli, di ceramiche, di profumi, di oli, di cosmetici, di frutta secca, di spezie. 

 

Tra  le vie dello shopping si potrebbe incontrare Carrie Bradshaw di Sex and the City con in mano le babbucce di perline colorate appena acquistate, da sfoggiare, al ritorno dalla vacanza, in una mondana sera a New York, tra l’invidia di tutte. E ancora splendidi caftani ricamati, pezzi unici dal prezzo elevato ma dal valore inestimabile: mani sottili  e precise chine a cucire gioielli in miniatura su stoffe preziose. Elogio ai colori. 

Cercate di sbirciare dietro le antiche porte della Medina, dove sono nascosti tesori.

 

Dopo le mura, la Ville Nouvelle, con il moderno quartiere di Guéliz e la zona dell’Hivernage, con vita notturna e ristorante aperti fino a tardi. Oltre, la zona residenziale della Palmeraie, in mezzo a 100000 palme, piscine a sfioro, dimore faraoniche di ricchi magrebini e molti europei che hanno scelto di costruire la loro casa vacanza in questo luogo di strana magia.  E hotel a 5 stelle, in un palmeto che è un patrimonio naturale del Marocco, tra cui il Palmeraie Golf Palace. Per i nostalgici di Saint Tropez, potete concedervi una giornata al Nikki Beach, all’interno dell’ Hotel.

Ed il quartiere dei conciatori, il Souq Debbaghine, tra effluvi fortissimi di calce e guano. Un vero girone dantesco, un luogo dove i turisti entrano frettolosi, scattano lesti le foto di routine e partono, senza voltarsi indietro. 

 

L’Hotel La Mamounia è un gioiello, un capolavoro di architettura, arte e artigianato marocchino che si unisce alla tradizione e al lusso. Personaggi illustri hanno sostato in questo luogo magico, alcuni, come William Churchill, ci hanno trascorso molto tempo, tant’è che un bar ed una suite dell’hotel sono state dedicate a lui. I maligni sostengono che, essendo un gran bevitore di cognac, in realtà Churchill avrebbe potuto comprare il bar, con tutte le mance lasciate ad ogni bicchiere bevuto. Una passeggiata tra i giardini de la Mamounia è un viaggio tra lanterne, pati, cactus di ogni forma, raffinati marmi e stucchi e splendidi mosaici zellige. E se proprio sentite nostalgia di casa, il ristorante stellato Michelin Don Alfonso vi accoglie con grande affetto. Oppure, sempre all’interno della Mamounia, potreste scegliere la vista  sui Monti Atlas del ristorante Le Marocain. Se il vostro budget prevede altre spese ma non volete rinunciare ad un’ora in questo paradiso, scegliete uno dei cinque bar che meglio possa soddisfare  la vostra esigenza sensoriale, dalla sala da tè, alla biblioteca, al bar del giardino verso l’orto, in mezzo alla natura….insomma ce n’è davvero per tutti i gusti! 

Tornando ai colori intensi, non si può non parlare del blu cobalto di Yves Saint Laurent. 

Nel 1980  il Giardino Majorelle, opera del pittore Jacques Majorelle, trasferitosi da Nantes a Marrakech, è stato acquistato da Pierre Bergé e Yves Saint-Laurent e qui sono state sparse le ceneri del noto stilista e designer originario di Oran in Algeria, dopo la sua morte avvenuta nel 2008. I Jardins Majorelle, intorno alla casa abitata per molto tempo dallo stilista e dal suo compagno, sono un’oasi di pace e infinita bellezza, uno spazio fatto di vialetti e fontane con ficus, cactus, bambù con tutte le tonalità di verde e spruzzi di blu cobalto, anzi blu Majorelle, intenso e giallo e bianco dei vasi e delle maioliche disseminati ovunque. E vasche con carpe giapponesi colorate. La casa del maestro è oggi sede di un museo berbero e di una boutique. 

Girovagare per la città lasciandosi trasportare dall’istinto: è così che si scoprono vecchi palazzi trasformati in hotel e zone pieni di charme, come il quartiere ebreo che ruota intorno alla sinagoga. O l’area adiacente al Palais Badia, di cui restano le vestigia e le grandi mura, dove ancora oggi le cicogne fanno il loro nido (spettacolari, appollaiate sulle alte mura del palazzo), o ancora il Palais Bahia, opera di un gran  Visir tra fine 1800 e inizio 1900. “Una follia architettonica ordinata dal gran Visir, con dettami ben precisi: evitare che spose e concubine si incontrassero. Ecco che nasce una dimora di 169 camere, con giardini a labirinto, un gran lavoro per l’architetto marocchino che ha dovuto immaginare di rendere uniche le 4 spose e 24 concubine con i loro innumerevoli figli….una sfida, 10 anni di lavoro su 8 ettari. Peccato che oggi non rimanga nulla dell’arredo originario, anche se si può immaginare attraverso la bellezza dei soffitti dipinti e intarsiati.

La Madrasa (antica scuola coranica) di Ben Youssef del 1565,  è la più grande scuola religiosa del Marocco, I labirinti di stanze sono tutti attorno ai piccoli cortili interni in tipico stile dell’architettura islamica. Le belle piastrelle in zellige decorano in gran parte gli interni dell’edificio.

 

E per finire una meravigliosa giornata, infilatevi in un Hammam per due ore di pura estasi. Il rito di pulizia del corpo inizia con il bagno turco, cui segue un gommage con il sapone nero.  Un peeling energico con una spugna grattante vi libera dalle impurità. Dopodiché grandi secchiate d’acqua tiepida per ripulirvi e prepararvi all’applicazione del fango, cui segue un ulteriore lavaggio. E finalmente un massaggio a scelta tra rilassante, sportivo, tonico. Sembra tutto un po’ violento,  in realtà è un rito favoloso, che ti rigenera il corpo e ti da’ una sferzata d’energia pura.

L’ultimo giorno a Marrakech da regina: consigliato da una carissima amica, amante della città, lo straordinario ristorante Dar Moha, dove i 5 sensi ringraziano.

Vorrei chiudere il mio viaggio a Marrakech dandovi qualche suggerimento sui Must della città, le cose che davvero non dovete perdere:

  1. Nel tardo pomeriggio salire su una terrazza di piazza Djemaa per osservare il mondo sotto o aspettare il tramonto sui tetti della Medina
  2. Visitare la Palmeraie: se il vostro viaggio non prevede il deserto dopo, fatevi almeno un giro in dromedario tra il palmeto ed il deserto che incombe. 
  3. Perdersi tra le viuzze della Medina. 
  4. Sentirsi un po’ un’attrice di Sex and the City indossando delle meravigliose babouches comprate nel souq o
  5. Nel negozio sopra la conceria, dopo aver visitato il luogo e passato molto tempo nella contrattazione 
  6. Fare almeno un Hammam, una coccola davvero unica. Ci sono moltissimi posti per tutte le tasche, dagli economici in piena Medina alle spa esigenti dei grandi alberghi.

Infine due chicche : il ristorante Le Marracki sulla piazza Djemaa El Fna (con terrazza) è uno dei pochi sulla piazza che serve alcolici (birra e vino compresi). Ottima colazione sulla piazza da Zeitoun Cafe’ , in ambiente marocchino con ottimo pane e olio d’oliva saporito 

Meno di 200 km da Marrakech a Essaouira, per lo più in autostrada tra un paesaggio arido e privo di fascino.

Gli alisei soffiano forte, la figlia del vento mostra la sua rabbia con una brezza marina violenta: Essaouira mi si presenta come la Bretagna delle Grandes Marées, luce pura seguita da violenti acquazzoni, una città in bianco e nero nei momenti di mareggiata. Amore o odio. Città costiera di vacanze estive, cara agli amanti di kitesurf, un po’ ingrugnita un po’ smorfiosa.

Le mura fortificate l’ avvolgono, due passi e i bastioni separano la Medina dall’Oceano. Orson Welles se ne innamorò e giro qui Othello nel 1952, tra cannoni di bronzo allineati ed il porto di pesca, e scale e porte. Le piccole barche azzurre, pescherecci che rientrano dal mare. Un passato importante, come luogo di passaggio per le spezie nella rotta dall’Africa sub-sahariana, oggi un colorato mercato ittico, con   bancarelle traballanti su cui sguazzano pesci e frutti di mare e ostriche in mezzo ai garriti dei gabbiani, e pescatori che guardano l’oceano con aria pensierosa, o intenti a riparare reti preziose.

Il cielo diventa all’improvviso plumbeo, un grigio tetro, scuro, quasi nero e non promette nulla di buono. La Medina ruota intorno a Place Moulay Hassan, pedonale, con i caffè all’aperto ed ambiente misto di turisti e locali che sorseggiano un te alla menta. Lasciatevi andare nella Medina razionale, dove, a differenza della maggior parte delle  città marocchine, sarà impossibile perdersi. Per cibo locale, molto street food, vi consiglio Rue Mohammed el Qorry, con proposte di spiedini di manzo o agnello freschi o zuppette di lumache, e succhi di arancia fatti sul momento. Il mondo dell’Argan è concentrato in una via Centrale dove le donne in cooperative, ancora lavorano artigianalmente. 

 

Ho deciso di vivere appieno l’esperienza culinaria marocchina e mi sono concessa una mezza giornata di corso di cucina. Dopo aver assaggiato tajine di tutti i tipi, volevo assolutamente carpire i segreti dei profumi. L’Atelier Madada con lezioni in francese ed inglese, è una chicca da veri gourmet. Lo chef Mona ti fa scoprire i segreti dell’arte del te’ alla menta. E poi si da il via alla preparazione di un menu’ di due portate, un chermoula di zucchine ed un tajine di agnello con datteri e mandorle. Una mezza giornata tra profumi e odori e sapori da portare a casa. 

Cotto e mangiato…..

 

Per gli amanti della cucina molto, ma molto casalinga un piccolo ristorante, dall’aria anonima, ma una vera sorpresa (consigliatomi da una Chef inglese che vive qui da 15 anni): Chez Rachid, resto berbère. Se vuoi passi al mattino, ordini la tua tajine preferita e la trovi pronta ad aspettarti, all’ora che vuoi.

Camminate anche fuori dalle mura, lungo il litorale, per vedere le spiagge della città dove, anche in un autunno inoltrato, con sprazzi di pioggia violenti, bambini scorrazzano e rincorrono una palla in mezzo alla sabbia umida. O ancora oltre, a qualche decina di chilometri dove gli amanti del kitesurf si danno un appuntamento all’onda. 

 

Qui di conclude la mia esperienza marocchina, fatta di cose semplici, alcune deludenti, altre magiche: voglio soprattutto ricordare le ultime, alcuni angoli che hanno davvero smosso la mia sensibilità. Domani parto per il Sahara Occidentale…..il tappeto volante è pronto. Mi lascio dietro una scia di odori di spezie, di the alla menta, di musiche squillanti, di blu intensi. 

 

 

5 risposte

  1. Straordinaria come sempre, amica mia, leggendo il tuo articolo si sentono i profumi, si vedono i colori intensi, si cammina con te per le strade di questo paese antico, a volte troppo turistico ma affascinante. Buon viaggio, ti immagino a dormire sotto le stelle nel deserto💝💝💝

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