Madagascar 🇲🇬 – Parte 1 – da Tana a Belo (parte in piroga)

 

Quando ho detto che avrei trascorso 45 giorni in Madagascar, molte persone mi hanno chiesto: “non pensi di annoiarti?”.

Il Madagascar è la quarta isola più grande del mondo, con circa 110 specie e sottospecie di lemuri, e, pare, circa duecentomila specie animali: due terzi della sua fauna selvatica non si trovano da nessun’altra parte sulla terra. La sua storia inizia 160 milioni di anni fa, con la separazione di un pezzo di terra, prima dall’Africa, poi dall’India. Nel paese vedrò: “Tsingy” (labirinti di pinnacoli calcarei), baobab giganti, isole sabbiose, spiagge bianchissime, canyon, cascate, fiumi navigabili per giorni in mezzo ad una natura intonsa, e poi animali meravigliosi, endemici di questa terra che profuma di vaniglia. Piste di terra rossa, che echeggiano trame di un film, piste di sabbia bianca, come uno svolazzante tappeto volante, su cui l’auto si dimena, mari pieni di fauna dai colori vivaci, sambuchi che sfilano su fiumi abitati da coccodrilli.

Nel paese ci sono anche dei comodi charter che ti catapultano a Nosy Be, in ottimi alberghi all inclusive, dove trascorrere le giornate piene di attività scadenzate, dalle escursioni di ogni tipo, agli sport acquatici, allo shopping sfrenato (per me, un po’ troppo made in China, ma decisamente low cost), fino alla vivace vita notturna. Oppure, si può optare per un’immersione in un mondo decisamente più bucolico, come la  discesa in piroga lungo un fiume, pieno di villaggi che respirano l’aria di un’altra epoca, per poi continuare su piste di terra rossa interminabili, tra polvere e buche che tolgono il respiro. Dalle strade, contornate da risaie color verde smeraldo,  ai vecchi, possenti baobab, simbolo di forza, dagli incontri con gli splendidi e timidi lemuri, dai grandi e vispi occhi a palla, ai temuti coccodrilli, alle dolci tartarughe. E, naturalmente, gli onnipresenti carretti trainati dagli zebù, simbolo anch’essi, di forza, per un popolo poverissimo, che conserva le sue tradizioni ed i riti ancestrali, come la riesumazione dei morti.

Vi anticipo già, che non ho avuto il tempo di annoiarmi.

Antananarivo è una capitale di tre milioni di abitanti, rumorosa e polverosa e sono contenta di partire subito verso  il sud. Magari, se avrò tempo, la visiterò alla fine del viaggio.

 

 


Fuori città appaiono fotogeniche risaie.

 

 

Il riso viene raccolto fino a 2 volte all’anno: negli altri periodi, qui si recupera l’argilla, che serve per fare i mattoni.

La Route National n.7 percorre la distanza tra Antananarivo (detta anche semplicemente Tana) e Tulear, per circa novecento chilometri.  Ma, ben presto,  lascerò la strada madre per avventurarmi nel paese, percorrendo migliaia di chilometri di piste, di ogni genere. 

 

 

Nel primo pezzo di strada abbiamo alcune soste: i malgasci sono molto credenti, principalmente cattolici, ma con il cuore che non ha mai abbandonato i riti ancestrali. Ecco che, all’improvviso, sulla strada,  si sente la musica di una banda che suona e si vedono decine  di persone che ballano. In Madagascar, ogni cinque anni, le famiglie festeggiano la riesumazione dei corpi (o meglio delle ossa) dei morti. È una grande festa di due giorni, dove si invitano i parenti e tutto il villaggio.

 

 

Le ossa dei morti vengono riesumate e riavvolte in nuovi tessuti, per poi essere nuovamente sotterrati per i prossimi cinque anni. I morti si ricordano con balli sfrenati, cibo a volontà ( si vedono i pentoloni sobbollire) e fiumi di birra.

 

Siamo state accolte come se fossimo parte della famiglia, e, anche se abbiamo rifiutato di mangiare con loro (anche perché avevamo molta strada da fare), abbiamo comunque condiviso qualche ballo in grande allegria.

La riesumazione dei morti è una tradizione atavica e molte famiglie arrivano ad indebitarsi pur di onorarla, ogni cinque anni.

Ne incontreremo molti, durante il nostro lungo viaggio nel paese.

Nella foto precedente  vedete la tomba e, sopra, dietro alle persone in piedi, il tessuto, dove sono avvolte le ossa dei defunti, che torneranno sotto terra, tra poche ore, alla fine della festa in loro onore.

 

La strada che porta verso il sud-ovest attraversa belle risaie,

capanne dal caratteristico tetto in paglia

e bei paesaggi.

Molti villaggi, lungo la strada principale, sono specializzati in oggetti artigianali.
Qui  si possono acquistare le statue della vergine Maria in argilla

E poi camioncini colorati

E, ancora, strumenti musicali.

Ma la sosta più interessante è ad Ambatolampy, una cittadina famosa per le pentole in alluminio.

Visitare una “fabbrica” a conduzione famigliare,  è una bella esperienza. Tutta la famiglia partecipa alla “nascita della pentola”, tutto fatto artigianalmente (colata compresa), risultato di una manualità strabiliante: Un interessante lavoro di equipe.

Rottami da fondere

Ed eccola, la “creatura” appena nata: avrà bisogno di una rifinitura

E poi sarà pronta per la vendita, nella vetrina di un chiosco

 

 

La strada continua, panoramica, malgrado l’asfalto sia finito ed inizino i percorsi a zigzag, prima  per evitare le buche, poi,  gli scontri con il simbolo del paese: i carretti trainati da zebù, che saranno la costante del nostro lungo viaggio itinerante.

 

si attraversano villaggi e si vede che tutte le attività si svolgono sulla strada.
Ecco una macelleria

 

Verduriere e « gastronomia »

 

poi si vedranno tutti i tipi di trasporto

Dal pousse-pousse a piedi

 

a quello in bicicletta

A questo proposito, con la bicicletta si porta di tutto:

 

addirittura un maiale vivo e vegeto, che grugnisce nella disperata ricerca della libertà.

 


Il fiume è sempre simbolo di vita, per un paese dove la siccità incombe. La mancanza d’acqua sarà evidente ovunque.

Qui ci sono i cercatori d’oro, non grandi professionisti, ma famiglie che setacciano il letto del fiume alla ricerca di un po’ di felicità. Tutti partecipano, dai vecchi ai bambini. 

 

 

E sarà questa una delle tragedie del Madagascar. I bambini iniziano a lavorare piccolissimi, la scuola non è obbligatoria e, la maggior parte delle scuole,  sono molto lontane dai villaggi.

 

 

Una tragedia immane: vi anticipo che, in un paese dove le donne hanno 12 figli ciascuna, la maggior parte della nuova generazione, al contrario di come dovrebbe essere, non parla più il francese, ma solo il malgascio. L’indipendenza dalla Francia è avvenuta nel 1960, e da allora, è stata una tragica escalation di povertà. Non voglio entrare nel merito della colonizzazione, che sicuramente ha spolpato il paese, ma, la mancanza di linee guida di una classe politica senza storia, una corruzione a macchia di leopardo, lo sfruttamento indiscriminato della foresta, e la nuova colonizzazione (Cina?), hanno portato ai disastri odierni. Oggi la povertà è disarmante… credetemi ho visto delle cose difficili da descrivere. Un esempio? : nei villaggi,  i bambini (tanti, tantissimi) corrono, urlando : « vaza, vaza »(bianco, straniero). Chiedono di tutto, in malgascio. E, quando allungo una bottiglietta di plastica d’acqua, vuota, si azzuffano per prenderla. Si, avete capito bene, una bottiglietta di plastica, vuota, è per loro, un bene prezioso.

Poiché la maggior parte dei bambini non va a scuola, anche il francese, che era la lingua ufficiale prima dell’indipendenza, ora non si insegna e non si parla quasi più. Un ritorno al passato, in una società che sta tristemente regredendo.  La colpa non è solo la mancanza totale di cultura, ma anche (e direi soprattutto),  della religione. Io sono fermamente convinta che i danni che fanno le religioni nel mondo sono immani. Nei paesi poveri, la gente ha molta fede, tutti sono credenti ed il potere che hanno i  “servitori di OGNI  Dio”, è immenso. Ecco che qui, quando dico che mi sembra allucinante pensare che ogni donna partorisce fino a dodici figli, che vagano in mezzo alla sporcizia, alla mancanza di acqua e cibo ed alla disperazione, mi viene detto: nel  2019 il Papa, quando è venuto in Madagascar, ha ricordato che i figli sono un dono di Dio. Già, peccato che poi lui non se occupi e lasci crescere e moltiplicarsi una infinita sequela di disperati. Di loro si conosce solo la madre e, spesso,  neanche l’età. Ma la cosa triste è che io non vedo futuro, perché qui non c’è quasi nulla: i bambini vivono per strada, solo apparentemente sorridenti. La loro vita?  Le bambine si occuperanno presto dei fratellini,  e poi andranno a cercare l’acqua e la legna, da portare al villaggio

 



 

poi inizieranno a cucinare e lavare i panni, spesso percorrendo chilometri e chilometri sotto un sole cocente per trovare un rivolo d’acqua. I maschietti impareranno ad usare quel frustino di rami che costringerà i poveri zebù a trascinare pesanti carretti, fino allo spasimo.

 

Porteranno greggi al pascolo, tra terreni aridi e brulli.

E poi, da adulti, molti, moltissimi, passeranno un bel po’ di tempo al bar…. già, perché vedrete che, in alcuni villaggi  remoti, nei chioschi, non si trova l’acqua in bottiglia da bere, ma la  birra è presente, ovunque…. birra e rum locale. 

Così come non si trova cibo, ma si trovano tabacco e sigarette. E ancora: non c’è la corrente, ma ci sono discoteche con musica a tutto volume, tutta la notte. 

 


La discesa del fiume Tsiribihina può essere fatta con un battello a motore molto rumoroso, per il turista classico, che vuole fare il tragitto velocemente.

Ma per il vero viaggiatore,  che vuole respirare l’aria locale, esiste un modo meraviglioso di percorrere il tratto. Alla fine del viaggio, sarò estremamente felice di aver scelto questo semplice tipo di imbarcazione.

 

 

La piroga tradizionale a remi, scavata artigianalmente dal tronco di un albero di palissandro, scivola lenta su un fiume calmo e silente. Il meraviglioso canto della natura riempie gli animi. Si percepisce il sottile  movimento dei due vogatori, che, con estrema grazia, remano, facendo scivolare la piroga sul  fiume. L’imbarco è a Masiakampy, dopo aver lasciato Mandrivazo per una pista sabbiosa e polverosa. Si percorreranno, in piroga, in quattro giorni, circa centocinquanta chilometri, fino a Belo.

 

 

L’équipe che ci seguirà, per quattro giorni (e tre notti) è straordinaria: due rematori più un cuoco.

 

Il loro ritorno durerà oltre sei giorni e dovranno pagaiare contro corrente.

 

 

Il paesaggio è meraviglioso e vario: inizialmente ci saranno le pianure, contornate dalla catena del Bongolava,  poi le foreste primarie tropofile, una di quelle pianure semplici senza alberi, che, fortunatamente, non hanno subito « trasformazioni umane ».

 

 

 

Il primo giorno ci sarà una sosta in una splendida piccola cascata, incastonata nella foresta a Anonsinampela. L’acqua trasparente è un bagno rivitalizzante, in una piscina naturale.

 

E qui abbiamo anche la fortuna di avvistare i primi lemuri, quelle dolcissime creature che saltellano sugli alberi e guardano curiosi, nella speranza di avere un pezzo di banana.

 

 

Questa natura straordinaria è ricca di fauna: tra i canneti, i camaleonti sostano, immobili, pensando che il mimetismo li renda invisibili.

 

 

I bambini iniziano a pagaiare da piccoli.

 

E poi qualche coccodrillo, nel suo bagno di sole giornaliero.

 

Ma sono soprattutto gli uccelli, i re di questa natura accogliente. Splendidi martin pescatori, così piccoli ma dal vibrante mantello color azzurro e ventre rossiccio, e poi aironi, aquile pescatrici, moltissimi  piccoli uccelli dal colore verde brillante, difficili da fotografare, perché sempre in movimento.

Al calar del sole si prepara il bivacco. Su una bella spiaggia sabbiosa, i ragazzi montano la tenda. Ed eccoli, i bambini del piccolo agglomerato di capanne, che accorrono per darci il benvenuto. « Vaza, vaza » (« straniero » in malgascio). Poche capanne, quattro o cinque, ma un’infinità di bambini. Il nostro cuoco dice che in queste zone, lontano dalla città, la media è di oltre dodici bambini per donna: per molti,  il loro futuro resta qui, non vedranno altro nella vita che queste sponde, questo fiume, questa risaia e questa natura. E, naturalmente, i « vaza », che transiteranno per poche ore.

 

 


 

 

 

 

 

Il paesaggio cambia e ci troviamo,  all’improvviso, nel mezzo di gole di arenaria dalle sfumature che vanno dal bianco, al beige, all’ocra.


 

 

E poi  alberi, come manghi, tamarindi e palissandri. Siamo nella stagione secca, e alcuni alberi hanno le radici scoperte.

 

Il livello dell’acqua è basso e quindi i piroghieri devono andare a zig-zag per evitare le secche.

 

E ancora risaie

 

 

Le sette ore giornaliere seduta non pesano, perché comodi materassi formano una sorta di trono. Lo spazio è decisamente ben organizzato e l’ombrello in dotazione, ripara dal sole. A questo proposito, anche se siamo in inverno, durante la giornata il sole è caldissimo. Secco, umido, deserto, foresta: un’alternanza di paesaggi, con l’acqua aranciata (dovuta al fondale melmoso, perché in realtà è pulita) che contrasta con il verde brillante delle risaie.

Tutti si lavano nel fiume

Le donne lavano i panni

 

 

Nel villaggio lungo il fiume, il lunedì è giorno di mercato. Le donne hanno il viso coperto di “masonjoany” un prodotto derivato dall’albero del sandalo, per proteggere la pelle dal sole.

 

 

 

Il villaggio è vivace,  i carretti trainati dagli zebù si infilano tra le capanne

 

 

 

 

Sotto un sole cocente, in pieno giorno, un folto gruppo di adulti è all’interno di una capanna, dove una televisione trasmette video musicali. Fuori, gruppi di bambini cercano di curiosare, non potendo pagare il biglietto

 

L’ultimo giorno ci fermiamo su una sponda, in mezzo al nulla. Scendiamo e camminiamo un’ora per arrivare in un  piccolo villaggio, dove vorremmo comprare delle bottiglie d’acqua. Ebbene, dei quattro chioschi del villaggio, solo uno avrà solo quattro bottiglie d’acqua da vendere. Sembrerebbe normale, in un paese poverissimo. Ma purtroppo la realtà è che TUTTI, hanno birra e rum. Quando chiedo perché non hanno acqua da bere mi viene data una risposta disarmante: “l’acqua deve essere trasportata da lontano, quindi sarebbe cara”. Ecco che mi sorge spontaneo dire: “ ma tu lo sai qual’e’  l’ingrediente principale della birra? L’acqua!”

Come spesso succede,  in questo caso….silenzio intorno!

 


All’arrivo a Bogo mi sono quasi affezionata a quel fiume ed a quella piroga ed è stato bello,  per un po’, perdere totalmente la nozione del tempo e seguire il sole, la luna, le stelle.

 

 

 

 

Vi lascio qui, ma riprenderò a breve il mio racconto e vi porterò verso sud, tra strade sempre più sabbiose e piste rosse. Dovrete sopportare centinaia di chilometri di polvere, e strade sconnesse, ma vedrete paesaggi incredibili, ed alla fine un meritato paradiso, con meravigliose spiagge bianche, incontaminate e solitarie, tutte solo per quei pochi eletti che oseranno arrivare fino laggiù .

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *