Siria

 

In Libano, poco prima del confine con la Siria, spuntano brutte macchie incolore. Da lontano, grigie lenzuola svolazzanti vibrano alzando nel cielo i silenzi strazianti di una vita in fuga. La ricerca dell’oblio del passato, in un presente incerto, senza futuro. I rifugiati  siriani non sono neanche numeri, soprattutto qui,  così vicini a quella casa che oggi non esiste più, dilaniata e resa una poltiglia di resti. La guerra non ha mai senso, non rende felice nessuno.

 

 

 

A pochi passi dal luogo natio, tra sogni infranti e speranze vane, vicini al paese dell’abbandono internazionale e delle perversioni religiose.

Sono arrivata in Siria provata da quasi venti giorni di Iraq, dove, dopo una tranquilla e piacevole vacanza in Kurdistan, ho avuto una full immersion sul filo del rasoio in un paese dove occorre respirare a lungo prima di emettere un suono. Un paese che ti stordisce e ti lascia a terra, per farti capire che devi reagire, ora o mai più. Sto per dire una frase banale, ma ne sono cosciente: stavo attraversando un gran brutto periodo, la dipartita inaspettata di una madre e amica è straziante e sentivo la necessità di provare qualcosa di così forte e traumatico che mi risvegliasse dal torpore a girandola che mi opprimeva. Ma questa è un’altra storia. Pensavo davvero di aver visto il peggio in Iraq, e che, in fondo, non mi aveva smosso più di tanto. Ci si abitua al dolore? E alle brutture? E alle ingiustizie? Si diventa indifferenti alla morte? O forse si impara solo a non arrendersi alla logica dell’orrore e della violenza. Coraggio e resilienza.

La Siria me la ricordo in filmati datati: chilometri di capitelli antichi, arene dove rimbomba ancora il “gioco alla vita”, maestose colonne che incorniciano un deserto di sogni. Certo, oggi bisogna entrare in punta di piedi. Il turismo è una parola dimenticata, e me ne renderò conto a breve. 

« Marhaba »: ciao! Il saluto che apre tutte le porte!

“I sorrisi dei bambini sono tutti uguali”. No, non è assolutamente vero. In Europa nessuno ti corre incontro con un “Welcome, welcome”, e le mani alzate in un saluto dolce, ed il sorriso della speranza in quegli occhi fissi e lucidi che corrono alla rinfusa, spersi nella ricerca disperata di un futuro. Siamo noi, che con la nostra presenza, in questo momento riaccendiamo quella fiaccola che si era spenta. Flebile, un piccolo tremolio, un  colpo di tosse, come se la vecchia volesse uscire dal coma. Non ci sono turisti in Siria: in nove giorni non incontreremo nessun straniero. Capisco la tensione che si prova: noi abbiamo anche avuto la scorta per un certo periodo. Un autorevole Generale dell’Esercito ha viaggiato con noi, sorridente e socievole, ma con l’occhio a trecentosessanta gradi ed il telefono sempre pronto nella mano destra.

D’altra parte però, penso che questo sia un vero contributo al paese: non solo perché il turista porta denaro e quindi lavoro, ma anche speranza. Siamo stati accolti come eroi: “Ma allora fuori qualcuno sa che esistiamo? Se siete qui è perché pensate che il paese sia tranquillo. Che bello poter ricominciare a lavorare “.

La Siria è quel paese che prima della guerra aveva 22 milioni di abitanti e che negli ultimi 10 anni ha avuto oltre 400.000 vittime, 100.000 dispersi e circa 13 milioni di rifugiati e sfollati, di questi la maggioranza sono bambini che hanno conosciuto solo la guerra.

La guerra civile in Siria inizia nel 2011, con la disperata ricerca di migliori condizioni economiche e precipita con l’ingerenza di gruppi islamisti.

Oggi  il regime di Bashar Al Assad  controlla ancora buona  parte del territorio: la sua foto appare ovunque

 


Non appena entrati in Siria via terra, ci sono ben quattro controlli militari, nei circa 50 chilometri che separano il confine da Damasco: si verificano i bagagli, il traffico d’armi, traffico di droga e  delle persone ricercate.

Al terzo controllo mi chiedono : di dove sei? Italia. “Whawwww il paese di Gigi Buffon!!”. E siamo  nel 2022!

Arrivo a Damasco verso sera: l’autobus ci lascia all’ingresso della via pedonale. Percorro quei duecento metri verso l’hotel, nella normalità più assoluta. La gente è frenetica a quell’ora, allunga il passo con i carichi dello shopping appena fatto, o si affretta a raggiungere la famiglia dopo una giornata di lavoro. Per assurdo, mi sembra di essere arrivata in una qualsiasi serena capitale del Medio Oriente.

 


Il Boutique Hotel Beit Al Wali è una meraviglia. Incastonato nelle vie pedonali è un gioiello, tra arazzi, marmi, velluti e decori orientali di immane bellezza. Sarà un soggiorno da regina, coccolata da un personale molto attento e da colazioni pantagrueliche dove si potranno assaggiare tutte le specialità siriane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’Hotel a piedi si può anche partire alla scoperta della capitale.

Partendo dall’Azem Palace, ora Museo Siriano delle arti  e tradizioni popolari. Uno dei più importanti edifici storici, vicino anche alla Grande Moschea Umayyad


 

 

 

Ed eccola, la Grande Moschea Umayyad, che può ospitare fino a quindicimila persone.



 

 

Passeggiando tra le vie pedonali si aprono corridoi che nascondono splendidi cortili e case antiche di straordinaria bellezza. Come Jabri House, costruita nel 1737 e poi trasformata , nel 1995, in un ristorante e galleria d’arte contemporanea.  Se non avete tempo per pranzo, vi consiglio comunque un succo naturale di frutta 



 

 

 

E poi la Moschea Al Mujaedeya

 

 

La Vecchia Damasco ha 7 porte di entrata, all’interno delle mura storiche. Bab Touma è una di queste, conosciuta anche come “porta cristiana”, perché qui si trova la Casa di Sant’Anania o Chiesa della Croce.

 

 


 

 

 

 

E poi naturalmente c’è il Souk, quel meraviglioso cuore pulsante della città, dove si vende di tutto. Qui si trovano veramente gli opposti: i manichini con le rigide tenute imposte dall’Islam, i Khimar ed i Chador guardano con l’occhio abbassato i completini sexy.

 

 

 

 

Così come per strada si incontrano donne con quel Niqab che lascia intravedere solo una parte degli occhi, moltissime con l’Hijab e altre liberamente vestite all’occidentale, (con forse un eccesso di Botox ?).

 

 

 

 

 

 

 

 

Comunque sia, la donna senza forme pare non esista in questo paese e sono davvero molti i negozi che vendono prodotti di bellezza, dai profumi , ai trucchi

 

 

Nel Souk si trova di tutto, dalle bambole di porcellana alle sciarpe, dai tappeti agli oggetti artigianali di mastri ferrai. E poi le profumate spezie, i peperoncini colorati piccantissimi, i dolci al miele ed ì narghilè.

 

 

 


 

 

 

 

 



 

E poi ….. semplicemente perdersi  tra le strade di Damasco 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascio l’apparente normalità ed inizio il mio viaggio fuori Damasco, direzione Nord.

Sulla strada per Aleppo ci sono due soste: la prima è Hama, una delle città più tradizionali della Siria dove è vietato fotografare le donne: qui mise le radici la corrente estremista dell’Islam sunnita dei Fratelli Mussulmani. Situata sul fiume Oronte, è famosa per le norie, enormi ruote idrauliche in legno che attingono l’acqua dal fiume. Vere opere di ingegneria, (l’origine delle norie sembra risalga alla Mesopotamia, 200 a.c.) sono formate da una grande ruota (del diametro di 20 metri), sulla quale sono montate delle pale che sono messe in rotazione dalla corrente d’acqua, che viene raccolta in grandi secchi, a loro volta svuotati, quando arrivano nella parte superiore, in una vasca di raccolta raccordata ad un canale di trasporto costruito sopra un’arcata. A questo punto  l’acqua può essere trasportata alle abitazioni. In realtà oggi le norie sono solo più un’attrazione turistica: Il cigolio delle ruote ad acqua riporta indietro nel tempo, anche se purtroppo le strutture murarie che permettevano la spedizione dell’acqua sono state distrutte durante la guerra.

 

 

 

 

In Siria il peggio iniziò ad Homs, sulla strada per Aleppo, perché qui, in quella che oggi è ricordata come “la capitale della Rivoluzione “ nel 2011, migliaia di persone scesero in strada in una manifestazione dai colori scuri contro il regime di Bashar Al Assad. Il passato di Homs e’ pieno di sangue. La città, ogni anno, festeggia la festa dei pazzi, in ricordo dell’epoca romana, quando, per tenere alla larga gli assaltatori, che volevano occupare la città, la popolazione si finse matta, scendendo in strada con folli stravaganze. Nella terza città della Siria per numero di abitanti, oggi  le cicatrici sono profonde.
E poi ci sono gli errori dei grandi ingegneri: la vecchia  raffineria è stata costruita 
in una pessima posizione perché il vento, che è molto forte in questa zona, arriva da ovest : per questo la città di Homs è molto inquinata.

 

 


A Homs, come ad Aleppo il centro è stato distrutto. Anche qui, come vedremo poi in altri posti, i primi ad essere ricostruiti sono i luoghi di culto. La Moschea appare bella come il sole.

 


Quando vedo queste cose mi viene in mente  la famosa frase, attribuita alla Regina Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena (non si sa se sia vero): “Mia Regina il popolo ha fame e non ha più pane!”. “ Se non hanno più pane che mangino brioches”. In Siria oserei dire” il popolo ha fame! Bene, costruiamogli una moschea o una chiesa per pregare!”

Anche perché ….a pochi passi la vita non c’è più.

 

 

Il deserto continua costeggiando antichi paesi  con l’architettura tradizionale completamente distrutta, che riposa tra macerie senza poesia.

A tratti appaiono piantagioni di pistacchio: la produzione di questo frutto è ad anni alterni. Questo ne giustifica l’elevato costo.

 

Lungo la strada si incontrano molti militari

 

 

 

e si intravedono case in tufo (simili si nostri trulli): erano usate dai militari durante la guerra

 

 

Chiudo gli occhi: pattuglie di militari, check point ovunque, rumore tonante di armi che saettano verso il cielo, odore acre di polvere da sparo che si mischia alla sabbia sollevata da inaudita violenza. Urla strazianti che lacerano lo spazio, dove un caldo sole fatica a scaldare cuori spersi. Quanta suggestione nei ricordi della guerra. Quando apro gli occhi la strada da Damasco ad Aleppo odora di morti…..il silenzio assordante stordisce. La lunga via è un campo di battaglia abbandonato da tempo: villaggi fantasma si alternano a campi arsi dal sole e mandrie di ovini ignari che pascolano sereni.

 


 

Impossibile descrivere una vita che non c’è.

Il momento più difficile è  certamente quando si arriva ad Aleppo, perché qui la gente riappare, come se vivesse una normalità.

Il bambino che propone la rosa alla coppia che passeggia sembra un quadretto romantico, ma secondo me rappresenta la situazione del paese:  i bambini costretti a girare per le strade cercando di vendere quei pochi prodotti nella speranza della sopravvivenza, ai giovani, che vogliono vivere una vita normale, in un luogo che normale non è.

 

 

Ad Aleppo appare la meravigliosa cittadella, protetta dall’Unesco, che guarda con occhi languidi la zona pedonale sottostante, martoriata durante la guerra. La vita arranca, tra splendidi ristoranti post lifting. 

 

 

 

Nella cittadella la gente passeggia, posando per uno scatto con grande serenità.

Certo, la vista dall’alto è un campo di battaglia



 

 

 

Sotto, i negozi riaprono, guardando il futuro. È impressionante vedere enormi caseggiati con vetrine allestite ed il viavai di compratori, e tutto il resto intorno (compresi i piani sopra), distrutti.

 

 

 

 

Guardate la vista dal bellissimo Beroea Restaurant

 

 

 

 

Come ho detto precedentemente, le prime cose restaurate, sono i luoghi di culto. Ed ecco che appaiono la Chiesa Armena e la Cattedrale Maronita  Saint Elias.


 

 

 

E poi si riattraversano strade martoriate. Si cerca di riportare in vita un Boutique Hotel dilaniato dalla guerra,

 

 

Sopravvive la vecchia fabbrica del sapone, operativa solo in parte, perché mancano i clienti, quel turismo bello che aiutava l’economia locale:  dopo la guerra, è arrivato il Covid.

 

Il vecchio suq  è un labirinto che sta faticosamente rinascendo, tra muri di pietra anneriti dal fuoco che aveva arso tutto.

 

 

 

 

 


 

 

 


Una passeggiata che sa di speranza, perché, da una parte alcuni hanno riaperto la bottega, e dall’altra si incrociano gruppi di muratori che riporteranno (spero a breve), il bazar, al suo splendore originale.


 

 

 

Una parte è stata restaurata.

All’improvviso, tra viuzze di pietra datate, appaiono scrigni di immane bellezza.

Dar Halabia è un ristorante con alcune camere, in vero stile siriano. Il proprietario mostra con orgoglio il lavoro di ristrutturazione fatto con le sue mani: una piacevole sosta anche solo per un the.

 

A proposito di luoghi storici, non si può dimenticare l’Hotel Baron, costruito nel 1909. Un vero pezzo di storia della Siria che ha accolto re, regine e altre celebrities, dal Re (e Regina) di Svezia e Danimarca, a Mr. and Mrs. Roosvelt e poi Rockefeller, Yuri Gagarin e Lawrence d’Arabia, solo per citarne alcuni.


 

 

Questa è la stanza dove soggiornò Agatha Christie

bye bye Aleppo

 

 

 

A circa 80 km, Al Ma’ra, sull’arteria principale, era una delle cittadine dove si sono stabiliti i terroristi: un luogo conosciuto per ristoranti  e copie di monumenti famosi, come la torre di Pisa e la tour Eiffel. I turisti sostavano per un pranzo tipico od una foto. Oggi è stata completamente abbandonata: restano molte bombe nascoste nel terreno che l’hanno trasformata in un terribile campo minato.


 

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La prossima tappa è un tuffo nella storia. La bellissima cittadella di Krak des Chevaliers (o Fortezza dei Curdi) si trova a 60 km da Homs, abbarbicata sulla cima di una collina vulcanica a 750 metri sul livello del mare. Non si conosce una data esatta di costruzione. Del famosissimo sito Unesco si sa che fu occupata dal 1099 al 1110 dai francesi, poi liberata nel 1271 dal Sultan Bebart. Nel 1934 i militari lasciarono la cittadella che divenne il sito storico di Krak des Chevaliers. Uno dei più bei avamposti militari del Medio Oriente, è in realtà composta da due unità, la parte esterna difensiva e quella interna con alte torri, sopravvissuti a molti terremoti.

 

 


 

 

 

L’Hotel Beibars sta risorgendo lentamente, dopo la guerra, ma soprattutto il Covid, che, senza clienti, come  dice il proprietario, è rimasto in balia di se stesso, senza alcuna manutenzione. Le camere non sono ancora pronte, ma un semplice ristorante prepara piatti locali dal sapore di “trattoria”, sulla terrazza con una vista straordinaria.

 

 

 

 

 

La vita scorre lenta tra la luce quasi divina di Palmira, l’antica Zenobia, una grande Diva senza età.

A Palmira, la “sposa del deserto” resta solo il silenzio, quasi come se i barbari non fossero riusciti ad annullarlo….già…è possibile distruggere il silenzio?

Il sole copre d’oro i resti di un impero che ci ha fatto sognare. Quasi un rendere omaggio ad uno dei siti archeologici più belli del mondo.

Palmira sorgeva al centro dei commerci internazionali e, per questa posizione strategica, era la Dea dei carovanieri, su quella, anche poetica, via della Seta. Oggi, dello splendore che fu, resta una lunga fila di colonne romane… ed un silenzio che chiede ad alta voce di tornare a vivere.

Quando sono stata io (maggio 2022) Palmira non si poteva visitare da soli. Tutte le strade in Siria sono controllate dal governo, ma vicino a Palmira ci sono gli Hezbollah, il cosiddetto “Partito di Dio” nato in Libano nel 1982 dopo l’invasione israeliana ed appoggiato dalla Siria, tristemente famoso per le tante azioni terroristiche. Per questo avremo a bordo un ufficiale dell’esercito e, all’arrivo, anche una security rinforzata.

Palmira è caduta ben due volte nelle ingombranti mani dell’Isis. Una preda facile data dall’estensione aperta del territorio; esiste una città, quella archeologica, molto estesa e quella moderna, che ha tanti ingressi, quindi entrambe difficilmente controllabili. Inoltre alcune tribù della città nuova hanno appoggiato l’Isis, aiutandoli nella loro infame conquista.

Dopo aver decapitato su una piazza di Palmira uno dei massimi esperti siriani di antichità ed ex direttore del sito archeologico, l’Isis ha distrutto uno dei più importanti templi del luogo, a pochi metri dal teatro romano.

L’orrore pochi anni fa, con diffusione di video scioccanti, come quello che mostra venticinque soldati siriani inginocchiati, con dietro ragazzini di 13-14 anni che li uccidono con un colpo alla nuca: sulle gradinate dell’anfiteatro, centinaia di uomini sono costretti ad assistere all’orrore.

 

 

L’Isis ha trasformato un sito archeologico in un luogo di esecuzione pubblica, una terribile pièce teatrale con fiumi di sangue vero. Sotto il motto di « basta all’eredità infedele! » i bulldozer hanno decapitato le statue, e sfregiato i volti di quelle che non volevano frantumarsi. Dopo undici mesi, nel marzo 2016, l’esercito di Bashar al Assad riconquista Palmira.


 

 

 

 

 

 

 

La Direzione Generale delle Antichità e dei Musei Siriani e l’Associazione dell’Industria della Pietra della Federazione Russa hanno firmato un memorandum d’intesa per la ricostruzione di Palmira. I lavori sono iniziati (io ho incontrato un gruppo di russi al lavoro) e sembra che Palmira sia proiettata ad una riconquista del passato che guarda al futuro.

 

 

 

 

 

 

Lascio la vecchia Palmira con un sospiro di sollievo: sicuramente tornerò

E attraverso la moderna Palmira, cioè quello che resta

 



 

 

 

È ora di visitare la costa, e raggiungere Latakia.

Ma prima ci sono due soste interessanti.

La prima è la cittadella di Salah El Din o Cittadella del Saladino, un castello di origine crociata, che è stato inserito nella lista dei patrimoni mondiali dell’umanità, con Krak des Chevaliers.




 

 

Un castello probabilmente costruito durante il periodo fenicio (inizio I millennio a.c.).

L’altro sito è la Cite’ d’Ougarit, un’antichissima città, che pare risalga al VI millennio a.c. Il muro di cinta fortificato è del neolitico.

 

 

Latakia è il principale porto della Siria ed un importante stazione balneare. Gli Hotel sulla spiaggia faticano ancora ad aprire, per carenza di ospiti. Nel mio Hotel, il classico 4 stelle, immenso, eravamo gli unici clienti, a parte due sposi che sono venuti lì solo per fare un servizio fotografico. Nella passeggiata sul lungomare, sono rimasta sconvolta nel vedere le spiagge libere piene di immondizia: le famiglie fanno il pick nick ed abbandonano i resti sul bagnasciuga. Quando chiedo ad un cameriere dell’Hotel perché i rifiuti vengono lasciati così vicini a riva, la terribile, serena risposta è: “non resteranno lì a lungo, saranno le onda a trascinarli via nell’immenso mare!”. . 

 

 

 

 

 

 

Sulla via di Damasco c’è un altro luogo particolare: Avete mai sentito parlare dei villaggi dove si parla ancora l’aramaico, la biblica lingua di Cristo?

Maalula è uno di questi. Un villaggio di montagna inserito tra aspre colline semi desertiche. Rocce rosate a strapiombo sulle quali si incastonano case dello stesso colore.Questa è una delle più antiche comunità cristiane della storia. Il prete ci attende, orgoglioso di mostrarci la chiesa di San Sergio e Bacco per poi indicarci la strada che scorre in una gola tra rocce , per arrivare a Santa Tecla.




 

 

 

 

 


E si ritorna a Damasco, fine di questo incredibile viaggio. Ma prima di salutare ….

Per non dimenticare:

La Siria è quel paese dove il matrimonio civile è vietato. Alle donne Mussulmane è proibito sposare un non mussulmano, mentre le donne cristiane possono sposare un mussulmano.

La Siria è quel paese dove le donne hanno paura a rendere pubbliche tutte le forme di violenza, non solo fisiche e sessuali, ma soprattutto quelle che per alcuni sono considerate “a fin di bene” perché “salvano” le ragazzine che potrebbero “perdersi” se non fosse che grazie a matrimoni molto precoci  (13 anni?) verranno loro insegnati i mestieri prettamente femminili. La rigida cultura patriarcale maschilista è purtroppo una delle poche cose rimaste intatte in una Siria martoriata. Se oggi si vedono le donne vestite all’Occidentale (ed io stessa ne sono rimasta colpita: dopo essere stata in Iraq sono stata felicemente sorpresa nel vedere abiti colorati e di taglio moderno), la realtà è ben altra. Sono finalmente riuscita a parlare con una ragazza siriana. Doveva essere un normale lungo appuntamento dall’estetista, un piccolo centro senza una vera insegna, indicatomi dall’hotel, dove bisogna bussare con vigore ad una vecchia porta, ma che  si è trasformato lentamente in una conversazione tra donne. Nagham mi ha fatto tantissime domande, quasi una sorta di interrogatorio, come se volesse capire se si poteva fidare. Siamo entrate ben presto in sintonia. In Siria, prima della guerra il 13% delle donne si sposava prima dei diciott’anni ; oggi la cifra è più che raddoppiata. Quasi il 30% delle donne è vittima di matrimonio precoce, il che vuol dire a partire dai tredici anni. Nagham fuma di continuo: la piccola stanza dove lavora è avvolta nella nebbia: l’odore acre del fumo si impregna nei miei capelli, ma non importa, sono troppo interessata a parlare con lei ed osservarla, nel suo fiume di parole. Sembra non aspettasse altro: la voglia di vomitare tutto lo schifo di una vita. Non se ne può andare. Vorrebbe, ma sa che quell’uomo che l’ha voluta come moglie, diventerebbe quell’incubo eterno che appare all’improvviso, senza darti il tempo di reagire e chissà quale brutto destino sostituirebbe una vita di sacrifici e abbassamenti di capo. I miei tre figli sono l’unica felicità. Mi dice: “come fai ad essere felice se non hai figli?”. Le spiego che ho la fortuna di avere un marito straordinario, che è felice se io sono felice e con cui condivido tanti interessi e progetti per il futuro. Lo so che non capirà il mio discorso, ma perché devo fingere? Le voglio lasciare la speranza che ci sono persone diverse da quella brutta realtà. Si accende l’ennesima sigaretta. Dietro la nube di fumo traspare un profondo velo di tristezza.

La Siria continua ad essere uno dei luoghi peggiori al mondo in cui essere donna.

Le donne siriane sognano di andare in Germania, perché sanno che lì possono avere aiuti, lasciare il marito e portare via i figli in luoghi sicuri. Pare che dall’inizio della crisi ad oggi oltre il 40 % dei matrimoni si sia concluso con un divorzio. Ma questo ha anche causato un altro grave  problema perché gli uomini fanno di tutto pur di andare a recuperare i figli, con ogni atto di violenza .

Lascio la Siria con tanti interrogativi. Sotto la guerra la vita va avanti: paradossalmente quando non si ha nulla da perdere, ci si attacca alla vita. E le uniche parole che mi vengono in mente, in questo momento sono proprio queste: sopravvivenza, resilienza, capacità di adattamento, ma soprattutto Rinascita.

“Marhaba”: Ciao,

Bye bye Siria, sarà difficile ricordarsi di quello che non c’è.

 

 

 

 

 

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