Pakistan 🇵🇰 Parte 1

 

Per chi ama la natura, il Pakistan è un paese con una varietà di paesaggi di incredibile bellezza, passando dalle montagne del Karakorum, Hindu Kush e Himalaya, alle valli e altopiani incantati, come Hunza e Fairy Meadows.

La diversità etnica e linguistica lo rende un paese attraente. Molte sono le lingue parlate, tra queste urdu, pashto, punjabi, sindi, burushaski,  tutte  con il proprio patrimonio culturale.

Qualcuno mi dice di aggiungere  l’ospitalità della popolazione,  anche se, francamente,  come donna, mi sono sentita rispettata, solo perché turista, che porta soldi.  E poi, pur non essendo femminista, scusatemi, ma non posso essere indifferente :

 

La cucina e’ uno spaccato di mondo, con sapori diversi e molto ricchi : i profumi dei biryani ed il kebab, per esempio, sono conosciuti ormai ovunque,  ma qui ogni regione offre un’esperienza gastronomica unica.

Per gli amanti dello shopping,  laboratori artigianali offrono tessuti ricamati, belle ceramiche e meravigliosi tappeti.

Per gli sportivi,  alla ricerca dell’avventura, il Pakistan è uno dei luoghi ideali, soprattutto al nord, dove si sfidano le alte cime, con trekking mozzafiato, alpinismo, rafting.

Negli ultimi anni il paese ha fatto progressi enormi anche nell’innovazione tecnologica, con Università rinomate a livello mondiale. Oggi numerose startup stanno guadagnando riconoscimenti globali nel settore IT.

Letto questo, sembrerebbe di andare nel paese di Bengodi, ma sapete che io vi racconto sempre la realtà che vivo e vedo e quindi ora vi elenco i punti negativi del Pakistan.

Certo, se volete leggere questo blog solo per avere un itinerario eventuale di viaggio, da turista classico, vi suggerisco di saltare completamente la mia lunga prefazione: questa volta sono stata una viaggiatrice più attenta ed ho scoperto delle brutte realtà.

La storia politica del paese è fatta di molti periodi di instabilità, tra colpi di stato militari e conflitti tra i vari partiti politici. Tutto questo ha tristemente impedito il progresso sociale ed economico del paese. La disuguaglianza sociale, soprattutto tra le città ed i tanti centri rurali, cresce, con un’alta percentuale di persone che vivono sotto la soglia di povertà. Ed è proprio qui che si ha il maggior tasso demografico, con una cultura ancora basata essenzialmente sul procreare figli a profusione. Nelle zone rurali,  i bambini vivono in strada, lavorando già in tenera età, spesso senza accesso a scuola (se non quella coranica). Le bambine e le donne in genere sono altamente discriminate. In tutti i  luoghi turistici,  ho visto solo lavorare maschi (nella cucina come cuochi, per servire a tavola, fare il bucato per l’Hotel, e pulire le camere), questo perché le donne devono restare a casa: per loro, matrimoni, combinati spesso con uomini molto più vecchi, e violenza domestica, sono la normalità. Chi si ribella, raramente trova aiuto, anche nell’assistenza sanitaria. A questo proposito, il servizio sanitario manca di strutture adeguate e la mortalità infantile, la malnutrizione e le malattie infettive sono problemi comuni, soprattutto nel disteso circondario rurale.

In Pakistan la fertilità è un aspetto cruciale della vita matrimoniale e la sterilità femminile è vista come una vera disgrazia.  A proposito di « parità »: Una donna che non può avere figli  è soggetta ad esclusione sociale, oltre a essere ripudiata dal marito. Nel caso del maschio,  invece, si tende a non parlarne o comunque si può eventualmente ricorrere a procreazione assistita o adozione, e la donna resta fedele al marito sterile; insomma, per l’uomo una soluzione la si trova, ma per la donna non resta che l’emarginazione di una società che la vede solo come un « oggetto riproduttivo ».

Il paese è cresciuto e continua a crescere a dismisura. Per spiegarvi la realtà vi porto un es. : negli anni 1960, quando la popolazione italiana era di circa 50 milioni, il Pakistan aveva circa 45 milioni di abitanti; oggi sono circa 250 milioni, e le proiezioni parlano di crescita esponenziale, in una cultura islamica ben radicalizzata, soprattutto nei giovani, che (cosa per noi inquietante !) sono più fondamentalisti dei genitori e dei nonni.  Mi ha sconvolto, in moltissimi paesi e cittadine (specie nel nord ovest),  vedere coppie molto giovani, con la ragazza in burqa e bambini piccoli per mano. D’altra parte,  la mentalità è questa: ad una mia guida, che dichiara che la vita è molto dura in Pakistan, lui fa fatica a tirare avanti e sogna un giorno di comprare un’auto, ho chiesto perché ha 4 figli….la risposta: “tutti noi dobbiamo fare molti figli perché Lui ce lo chiede e se noi siamo bravi, lo rispettiamo, lo preghiamo e seguiamo i suoi dettami, un giorno ci aiuterà….Inshallah !”. Una famiglia preferisce figli maschi, perché i maschi sono considerati portatori del lignaggio famigliare. E poi…. udite, udite..le famiglie delle figlie femmine sono tenute a fornire una dote al momento del matrimonio (che, generalmente, è combinato dalle famiglie). Io ho viaggiato a luglio, che è il mese  delle vacanze dei Pakistani. In tutti gli hotel c’erano famiglie pakistane in vacanza. La cosa strana è che poi in molti luoghi turistici, in realtà, si incontrano solo gruppi di uomini, intenti a fare selfie o foto di gruppo e ballare allegramente tra di loro. Un esempio: al confine Pakistan-China (un luogo iconico a 4700 metri di altitudine) c’erano tanti uomini, che facevano foto e mi hanno anche domandato di posare con loro. Quando ho chiesto dov’erano le mogli, mi hanno risposto che aspettano in Hotel. 😞.  Certo, ci sono anche i luoghi dove va tutto il turismo classico, come la Hunza Valley, e lì si incontrano anche ragazze senza velo. E qui c’è una conversazione che vi riporto, per farvi capire la mentalità maschile del paese. Ero con il mio autista / guida, che mi ha accompagnato in questo viaggio di 23 giorni, un ragazzo apparentemente molto moderno, vestito all’occidentale, gentile e premuroso, nella turistica Hunza Valley, all’Attabad  lake. Qui  molte ragazze pakistane, senza velo,  si fotografavano tra di loro. “Le donne pakistane hanno dei bellissimi capelli” dico io. E lui “si, belli, lunghi, setosi”.  “Queste ragazze non portano il velo”.  E lui: “si, qui c’è molto turismo occidentale e loro sono abituate a vedere i turisti”. “Quindi se possono scegliere preferiscono stare senza velo!” dico io. E lui: “no, no, tutte le donne pakistane vogliono assolutamente portare  il velo!”. “Scusa, ma se così fosse, perché non lo portano? “. Silenzio tombale per un po’ poi, per toglierlo dall’imbarazzo chiedo: “Ma, secondo te, sono più belle con il velo o senza?”.  ancora qualche attimo di silenzio e poi: “Scusi, preferisco non rispondere, Madam!”.

D’altra parte, invece, in tutti i posti meno turistici che ho attraversato (per es. Il Distretto di Ghizer, Chitral, Dir e  la Swat Valley) il “conservatorismo “ giovane e’ evidente. In un ristorante avevo di fronte una famiglia: la coppia , giovane, era formata da un ragazzo sotto i trent’anni, con una lunga barba “talebana”, tre bambini, una ragazza con guanti neri e occhi vivaci che  si intravedevano appena dal niqab, mentre la signora più anziana, che penso fosse la suocera, aveva semplicemente un leggero velo. E la mia guida conferma: “i giovani che vanno all’estero, dicono che nel mondo esterno c’è un grave problema di famiglie che si sfasciano e una totale mancanza di moralità, e dobbiamo stare attenti che questi modi di vita non si infiltrino nella nostra società”. Questa è una scena tipica del KPK (Khyber Pakhtunkhwa): il ragazzo con in braccio un bambino, e, dietro, la giovane moglie con il burqa.

 

Continuando la conversazione con la mia guida: “E tu, che non sei mai stato fuori dal Pakistan, cosa pensi? “. “Io vorrei viaggiare: mi hanno detto che le donne del nord Europa sono molto belle!”. “Ma quindi non porteresti tua moglie in viaggio con te.” “No, non è nella nostra cultura, Madam, mia moglie è molto felice a casa. Lei deve accudire i nostri quattro figli ed i miei genitori, più il lavoro dei campi  ed il bestiame. E poi ora inizia ad aiutarla anche nostra figlia, che ha 11 anni. Noi siamo una grande famiglia,molto unita, e quello è il ruolo della donna, Inshallah! Io comunque sono stato molto bravo: ho fatto ben tre maschi ed una sola femmina!”. “Cosa vuol dire una sola femmina?”. “Tre maschi….una lunga stirpe!!”.

Scusate, amici, ma a volte mi chiedo se è solo la mia mente che pensa che gran parte di quei 125 milioni di donne pakistane siano infelici!

 

Per quanto riguarda il burqa, lo vedrò indossato ovunque, in quelle aree, da Chitral a Dir, a Mingora, dove la donna non può nemmeno andare a fare la spesa; tante giovani con bambini piccoli per mano o in braccio.

Continuando con le cose negative che ho visto nel mio viaggio:

Ecco un messaggio che lancio alla (ormai ex piccola) famosa Greta: “vieni a fare un bel viaggetto nel Pakistan e spiega ai tuoi coetanei che non si butta la plastica ovunque. Eh si, perché qui, e’ il caso di dire che è proprio la TUA generazione che sta rubando il futuro ai tuoi figli”. Ovunque, ho visto giovani acquistare Coca-Cola, patatine e biscotti, salire in macchina (o sui pulmini) e, poco dopo, gettare dal finestrino le bottigliette di plastica o i sacchetti. I vecchi sono tradizionalisti, e non bevono le bibite “colorate”. Ma i giovani, li ho visti veramente buttare pacchetti, sacchetti, lattine, ovunque, senza vergogna!

 

L’ingiustizia sociale dilaga ovunque: diritti delle minoranze, libertà di stampa e di espressione, questi sconosciuti! Le persone LGBTQ+ sono totalmente discriminate, anzi, peggio, non si possono nominare: ho provato a parlare con la mia guida e mi ha inizialmente detto: « da noi non esistono » per poi aggiungere che l’omosessualità è “giustamente “ punita con la reclusione. 

Anche se la situazione è migliorata negli ultimi anni, i gruppi estremisti ed i conflitti interni in alcune aree del paese, richiedono precauzioni per la sicurezza. Le aree tribali in gran parte autonome, fungono da rifugio per i gruppi terroristici. In tutto il tratto da Chitral a Mingora mi hanno assegnato la  scorta: lo stato della sicurezza è teso e sussiste un elevato rischio di sequestri. 

A questo si aggiunge la corruzione, sia nel settore pubblico che privato.

Vi anticipo già, che, per tutto quanto sopra, sono contenta di aver visto questo paese, anche perché se non lo vivi non ci credi, soprattutto per quanto riguarda la vita delle donne, ma non farà parte dei luoghi dove vorrò tornare. Il Pakistan, per me, è il peggior luogo dove può vivere una donna.

 

Dopo questa prefazione, è ora di partire con il mio viaggio che inizia ad Islamabad. Non amo le città, soprattutto quelle senza anima, quindi mi limiterò ad un giro classico, e veloce, anche se indubbiamente ci sono ottimi ristoranti, dove provare la buona cucina pakistana. 

 

La grande Moschea Faisal Msjid è la moschea nazionale del paese, un’icona architettonica ed una delle moschee più grandi del mondo,  capace di ospitare decine di migliaia di fedeli sia all’interno che nel cortile esterno. Prende il nome dal re Faisal dell’Arabia Saudita che finanziò la costruzione, ultimata nel 1986. Il suo design mischia elementi tradizionali islamici con un’architettura moderna. La forma ricorda una tenda beduina circondata da minareti che richiamano lo stile turco.

Interessante il Museum of Natural history e, naturalmente un giro nei vari bazar, sparsi per la città.

 

 

E’ ora di partire per i monti.

Appena imboccata la Hazara Highway (a pagamento), scompare quel traffico disordinato della periferia. Lasciata l’autostrada,  inizia la strada che attraversa, in mezzo a grandi vallate, la città di Balakot,  che  e’ stata distrutta dal devastante terremoto del Kashmir del  2005. A 200 km. dalla capitale, oggi e’ un luogo turistico amato dai Pakistani: molti hotel e ristoranti, circondati da pinete, si affacciano sul fiume.

 

Naran Road si snoda tra le montagne dell’Himalaya seguendo il fiume Kunhar, che scorre tra le valli. Questa strada di montagna è normalmente aperta solo da metà giugno a metà settembre, e per questo molto trafficata.

Le vallate  verdeggianti si trovano in un paesaggio incontaminato, con l’aria frizzantina.

 

Lungo la strada ci sono venditori di ogni genere: foulard,

Abiti tradizionali per bambini,

 

tappeti, 

occhiali,

frutti di bosco

e, addirittura, pop corn.

 

 

Ma un prodotto locale famoso qui e’ il miele.

 

Man mano che la strada sale, il paesaggio cambia forma, alternando fotogeniche vallate verdi a montagne brulle


 

 

 

I pastori  spostano il gregge sui monti estivi


Il Lucidar lake è bello nell’ora che volge al tramonto, anche in una giornata decisamente uggiosa.

 

Sulla strada i bambini vendono uova sode.

Il Babusar Pass si trova, anonimo, a 4200 metri di altitudine, poi riprende la discesa. Qui c’è ancora neve e vedrò gente al lavoro intenta a raccogliere la neve che verrà venduta il giorno successivo nei villaggi. 

Ecco la vendita, nel villaggio, della neve raccolta

I venditori di bibite usano la neve come frigorifero

 

 


Chilas e‘ una cittadina sul fiume Indo, ed è un’ottima sosta per la scoperta del Gilgit-Baltistan poiché qui si trovano molti hotel.

Questa è la vista dalla mia camera.

 

Chilas si trova sulla famosa N35 Karakorum Highway, una delle strade internazionali più alte del mondo, che collega il Pakistan e la Cina. Questa strada è lunga circa 1300 km, parte da Hasan Abdal in Pakistan ed arriva a Kashgar, nella regione autonoma dello Xinjiang, attraversando le montagne del Karakorum: è uno snodo commerciale strategico per il transito di merci e persone tra i due paesi, ed ha scenari mozzafiato.

Ogni tanto si attraversa un villaggio: pochi negozi che espongono la loro mercanzia sul ciglio della strada e uomini in abiti tradizionali.


 

Purtroppo non si possono fotografare le donne, che si indignano e coprono non appena cerco di fare un semplice scatto. E sarà così in tutto il paese: spesso anche le bambine scapperanno o cercheranno di coprirsi alla vista di un telefono

 

Oggi riprendo la strada per andare in un luogo remoto ma affascinante.

Il paesaggio diventa più brullo, e gli unici colori sono i tipici camion Pakistani, dipinti a tinte vivaci.

 

Raggiungere Fairy Meadows e’ una vera avventura, ma con un nome così, “ Prati delle Fate🧚‍♀️ “, nessuno si aspetterebbe un viaggio sul filo del rasoio.

Lasciata la strada normale, si deve raggiungere il Fairy Meadows jeep track e qui si deve lasciare l’auto, anche se è una 4×4.

 

 

Solo le jeep locali possono percorrere quel tratto di strada rocciosa e accidentata, che si inerpica sul costone della montagna. La Fairy Meadows Road e’ una delle strade più pericolose del mondo, tra tornanti con dirupi e rocce sporgenti. Il grande pericolo è anche dovuto al fatto che le jeep si incrociano nelle due direzioni, e poi si incontrano pastori, che portano il gregge sui monti estivi.

 

 

Se, da una parte, si ammira la bellezza del paesaggio, dall’altra la tensione sale, anche perché ci vorranno due ore per arrivare a Tato, punto base per il trekking di altre due ore, in mezzo a boschi di pini, che porterà a 3300 metri. Chi non può arrampicarsi sulla mulattiera, può prendere un cavallo, ormai abituato a fare questo itinerario.

 

La vista è spettacolare e, poco prima di arrivare, si inizia a vedere, celato dietro le nuvole, sua maestà Nanga Parbat, che, con i suoi 8126 metri di altezza e’ la nona montagna più alta del mondo

 

Fairy Meadows, conosciuta anche come Joot, e’ una prateria incantevole, un paradiso della natura. Qui sono stati costruiti chalet e campeggi: ho trascorso due notti in questo luogo di pace. Attenti però, perché sono aperti solo i tre mesi estivi, e, se il primo giorno c’è stato un piacevole sole, il giorno successivo la temperatura è caduta in picchiata e, anche se il mio chalet ha una stufetta a legna, francamente l’aria è comunque ghiacciata e di notte è meglio essere sufficientemente attrezzati .

Qui arrivano gli escursionisti che vogliono partire verso il Nanga Parbat  Base Camp: il trekking è impegnativo, soprattutto per l’altitudine. Ma la vicinanza al Nanga Parbat (detto anche Killer Mountain, poiché qui hanno perso la vita molti scalatori) offre una vista spettacolare. Questa è la mia guida al campo base

 

scendere a valle e’ ancora più faticoso. La mulattiera è scivolosa, e spesso si incrociano uomini carichi di materiale per costruire i chalet.


 

 

La discesa con le jeep e’ decisamente un viaggio per cuori forti.

 

 

Tornata “a valle” riprendo la strada per un’altra destinazione a contatto totale con una natura immensa.

Ancora bei paesaggi, lungo una strada parzialmente sconnessa

Ogni tanto attraverso un villaggio con i negozi

Questo villaggio ha le caratteristiche case in pietre e tronchi di legno

 

E si sale ancora

 

 


Le Deosai Plains sono uno degli altopiani più alti del mondo, a oltre 4100 metri di altitudine. Il Parco Nazionale di Deosai è un’area intatta, nata per proteggere l’orso bruno Himalayano ed altri animali selvatici, come il leopardo delle nevi, ed il lupo tibetano.

 

 


Pianure immense che cambiano colori nelle stagioni, ma accessibili principalmente da giugno a settembre, a causa delle pesanti nevicate invernali. In estate il verde dei prati alpini, i ruscelli che scorrono, e le buffe marmotte cicciotte che saltellano, conferiscono al paesaggio una bellezza bucolica.

 

 

 

 

 

 


In mezzo all’altopiano, a Bara Pani, sorgono due Glamping, dove trascorrere una notte, in un ambiente completamente fuori dal mondo.

 

 

Questa è la mia tenda a 4000 metri di altitudine

 

Proseguendo,  appare lo splendido Satpara Lake, con le sue acque cristalline

Ultima sosta e’ il piccolo villaggio di Sadpara   dove si trovano le fotografie di alcuni alpinisti della zona che hanno perso la vita scalando il K2

 

Prima di arrivare a Khaplu, una tranquilla cittadina nascosta tra le montagne del Karakorum, c’è una strana sosta, Manthal Rock Buddha. L’antica scultura rupestre rappresenta un Buddha seduto, intagliato in una roccia e risale tra il VII ed il IX secolo dc, quando il buddismo era una religione comune nel Gilgit Baltistan. Per preservarlo da atti vandalici, la roccia si trova nel cortile di una casa chiusa, con accesso a pagamento.

 

 

 

Da Khaplu ho fatto un’escursione molto interessante. Sarà un’altra giornata di strade polverose che attraversano vallate sorprendenti, e villaggi, dove la vita scorre lenta, 

 

 


 

 


 

 fino ad arrivare a Hushe, a 3100 metri , l’ultimo villaggio della valle omonima, la cui popolazione è principalmente composta da comunità di etnia balti, un gruppo etnico tibetano che si è stabilito qui, arrivando dal Ladakh, in India.

Parlano una lingua tibeto-birmana, sono musulmani e si dedicano all’agricoltura (orzo e grano) e pastorizia, anche se il piccolo paese è turistico, perché frequentato dagli scalatori professionisti. Da qui partono infatti trekking nel Karakorum, incluso un itinerario, non tradizionale e decisamente impegnativo, che farà raggiungere in 6/7 giorni, il campo base del K2, attraverso il passo di Gondogoro (a 5500metri) ed il ghiacciaio Baltoro.

Il paese è piccolo e pieno di bambini. La comunità è estremamente conservatrice : le ragazze si sposano a 12-14 anni e non possono assolutamente parlare con estranei. Ho visto alcune donne, con abiti colorati, intente ad intrecciare gerle: la mia guida pakistana mi ha detto che lui non può avvicinarsi e mi consiglia di non farmi vedere con il cellulare  in mano. Così andrò da sola, senza nulla, verso di loro. Mi sorridono, ma sarà un dialogo impossibile.

Lungo la strada la gente va o arriva dai campi

 

Si riparte, percorrendo la stessa strada panoramica dell’andata.

Arrivare in una cittadina nell’ora dell’apertura dei negozi, e’ un’esperienza caotica, ma interessante, per vedere la vivacità del luogo

al mattino si incontrano ancora persone che vanno nei campi

un venditore di miele

 

 


Nei dintorni di Skardu, c’è un’altra sorpresa della natura. Il Sarfaranga Cold Desert, uno dei pochi deserti freddi del mondo.

 

Le dune di sabbia restano fredde per la maggior parte dell’anno, a causa delle basse temperature ed elevate altitudini. Lo scenario è unico, tra dune di sabbia e paesaggi montani circostanti accattivanti.

 

I turisti vengono qui alla ricerca di sport diversi e particolari.

La zona è turistica, anche perché qui c’è un’altro trekking che porta al campo base dell’iconico K2

 

 


Il Forte di Shigar, conosciuto anche come il Palazzo di Roccia, è un’antica fortificazione situata nel villaggio di Shigar, vicino a Skardu, nella regione del Gilgit-Baltistan in Pakistan. Costruito nel XVII secolo dal Raja di Shigar, è un esempio significativo dell’architettura tibetana e balti ed e’ stato completamente restaurato nel 2004 e trasformato in un Boutique Hotel, dall’Aga Khan Trust for Culture. Il complesso comprende il forte originale, un padiglione moderno che accoglie gli ospiti e dei giardini terrazzati. Costruito con pietra e legno, ha interni con meravigliosi intarsi ed una architettura che trasmette influenze tibetane, islamiche e balti.

 

 

 

Le camere sono accoglienti ed il ristorante propone un ottimo buffet, ideale per gustare le specialità locali in un delizioso giardino.

Vicino si trova anche una splendida moschea in legno

 

Per ora vi lascio qui, ma il mio lungo viaggio nel Pakistan del Nord prosegue. Nella prossima puntata: la famosa ed iconica Hunza Valley, il luogo più amato dai turisti, con le sue bellezze naturali, e poi vi aprirò la bruttissima pagina della condizione delle donne nel nord ovest del Pakistan. Ma ci saranno anche momenti di felicità immensa, quando ho  trascorso due giorni in una casa dei Kalash, una straordinaria etnia minore dal sorriso coinvolgente ed il cuore immenso.

stay tuned

 

4 risposte

  1. Grandissimo paese con panorami da mozzafiato, i più bei 8000 del mondo sono tutti lì.
    Gente amichevole e ospitale, cibo dai sapori forti, ma ottimo.
    Bellissimo articolo e bellissime foto.

    Buon prossimo viaggio.

    1. Grazie 1000 Michele del commento. Si, i paesaggi sono spettacolari, soprattutto nella seconda parte, a breve.

    1. Grazie Federica, si sola con un autista/guida per 23 giorni, intensi. sto partendo proprio ora. Anche se sono un amante della natura, indubbiamente mozzafiato, e’ stato un viaggio “psicologicamente pesante”. Un abbraccio

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