Ho spesso giudicato un paese in base alla sua gente. Per questo, alcuni stati, apparentemente poco interessanti, perché non hanno una grande storia o molte bellezze naturali, come il Bangladesh, mi hanno fatta innamorare. Se dovessi seguire la mia “filosofia” probabilmente avrei lasciato il Ciad dopo due giorni. Ma poi mi sono detta: magari l’arroganza, lo sguardo poco gentile verso il turista, la minaccia anche solo se si vede spostare un cellulare da una mano all’altra, e la richiesta di denaro, sono prerogative della, decisamente poco attraente, capitale. Devo anticipare che purtroppo non è così. Malgrado i pochissimi turisti, siamo stati accolti ovunque con freddezza, sguardi infastiditi, ed anche il classico ritornello di una buona parte d’Africa: “argent, argent”. Alla domanda “per cosa”, mi sono pure sentita rispondere: “perché se sei venuta fin qui è perché hai soldi. Quindi….dammi dei soldi”. In realtà la maggior parte delle persone non ha chiesto nulla: semplicemente mi ha fulminata con aria minacciosa tutte le volte che prendevo in mano il mio telefono, e, spesso, era per guardare la strada. Qualcuno mi ha detto che,essendo un popolo perennemente in guerra, c’è una sorta di timore latente. Altri, che esistono ancora credenze popolari per cui c’è la paura che con la foto venga rubata l’anima. Comunque sia, sarà un paese, per me, che merita una visita solo ed esclusivamente per le bellezze naturali, che comunque sono assolutamente straordinarie.
Vi anticipo che le fotografie dove sono presenti persone sono scatti veloci fatti dall’auto, perché nessuno vuole essere ripreso, anzi vedrete spesso dita puntate in segno di minaccia.
Il Ciad è uno di quei paesi che sta crescendo velocemente. Dal 1993 con 6 milioni di abitanti, si passa al 2009 con circa 11 milioni di abitanti, al 2020 con 17 milioni. Il Ciad si trova in mezzo a paesi instabili, tra questi la Repubblica Centrafricana, il Sudan, il Niger, la Libia, la Nigeria. Il Ciad è uno dei paesi più ricchi dell’Africa con i suoi giacimenti di oro, uranio e petrolio, ma in realtà è uno dei più poveri al mondo. Le grandi multinazionali (cinesi e americane in primis) gestiscono la ricchezza del suolo, contribuendo allo sfruttamento della popolazione. I due terzi della popolazione vivono sotto il livello di povertà. Il livello dell’educazione viene tenuto bassissimo proprio per poter manipolare la gente e sfruttarla. A questo si aggiunge comunque anche una religione che penalizza soprattutto le donne, senza opportunità di riscatto.
La particolarità del Ciad è che esistono 200 gruppi etnici e linguistici, anche se l’arabo ed il francese sono le lingue più parlate. I fatti più rilevanti in tal senso sono la colonizzazione francese del 1920 finita con l’indipendenza del 1960. E poi la crisi del Darfur, nel vicino Sudan, che ha portato migliaia di rifugiati, scappati dall’orrore.
Un paese che si definisce laico, e dove la libertà religiosa è garantita dalla legge, un paese dove la crescita demografica è proporzionale alla crescita dell’Islam, che ha decisamente preso il sopravvento sul cristianesimo. Ho letto che che nel 2009 le due religioni si spartivano quasi equamente la popolazione. Ebbene io, in due settimane di viaggio, non ho mai visto una donna senza velo, tranne nell’Hotel di N’Djamena, frequentato esclusivamente da stranieri qui per lavoro e dove, in contrasto con il resto del paese, ragazze dagli abiti succinti e atteggiamenti decisamente poco ambigui sfilano alla ricerca di attimi (e dollari) di felicità, ed ho notato, ovunque, una fortissima presenza di quell’Islam decisamente radicale. Attraversando per giorni e giorni il paese, per raggiungere il meraviglioso Ennedi, la vera “gioia” del Ciad, le uniche donne che ho visto, erano quelle che, ad ogni ora, percorrevano lunghi tragitti per andare a cercare l’acqua, o vendere quei pochi frutti di una terra decisamente poco generosa.
Per il resto, purtroppo, ho sentito solo storie che fanno capire quanto sia difficile essere donna in un paese come questo.
Il mio autista ha 39 anni e due mogli… fino ad ora. Dalla prima ha avuto quattro figli, dalla seconda tre… fino ad ora. Il mese scorso ha avuto un ictus che gli ha portato una paresi alla bocca. Mi dice che è un bravo mussulmano, segue attentamente i dettami del Corano, prega con rigore e spera che il suo viso torni normale. L’anno prossimo, finalmente, andrà in pellegrinaggio alla Mecca: il viaggio è carissimo (oltre quattromila dollari) ma lui e tutta la famiglia hanno messo i soldi da parte per questo. Poi, al ritorno, prenderà la terza moglie: l’ha già scelta, ma deve aspettare ancora un po’, perché sono altri cinquecento dollari! Ma lo fa perché, dice, ama le donne e poi deve fare altri figli: “sono un bravo mussulmano”, continua a ripetermi! Chiedo se le figlie vanno a scuola. Mi dice che frequentano, alcuni giorni alla settimana, la scuola coranica, la sera. Chiedo cosa imparano. “il Corano, signora! Tutto è scritto nel Corano, non serve imparare altro!. La grande ha quattordici anni: ho già trovato un bravo mussulmano per lei. La più piccola ha appena due anni….due settimane fa mia moglie le ha messo il velo per la prima volta. È bella con il velo”. Hassan mi fissa: dopo quattro giorni nel deserto, con la polvere e nessuna possibilità di lavarsi perbene, sarò costretta a raccogliere i miei capelli in uno chignon e mettere un cappello. Oramai lui ha preso confidenza, mi guarda e mi dice : « Signora, perché non mette un velo? ». Rispondo che non mi piace e che amo i capelli al vento. Lo vedo ammutolirsi e, per la prima volta, non mi rivolgerà parole e sguardo per tutto il giorno. Ricomincerà a parlarmi normalmente al ritorno, probabilmente solo perché aspetta la mancia.
Moussa ha ventisette anni. Lavora in un ristorante nella capitale, ma quando ci sono turisti, preferisce fare il cuoco per le spedizioni nell’Ennedi. Aveva ventidue anni quando i genitori gli hanno proposto di prendere in sposa la cugina diciottenne. Ora ha due figlie. L’anno prossimo prenderà una seconda moglie, perché l’attuale non sta bene. “Cos’ha? Gli chiedo”. “Non so, ogni tanto sviene per alcuni minuti poi si riprende. È una malattia ereditaria….. non so cosa sia. Mio padre dice che è meglio se prendo un’altra moglie, semmai l’attuale non potesse più fare figli o morisse! “. Si, avete capito bene, mi ha detto esattamente questo, con la più estrema naturalezza. E quando ho insistito per sapere che cosa conosce della malattia della moglie, mi ha risposto. “Solo LUI lassù, lo sa, per questo ho detto a mia moglie di pregarlo”. Poi mi chiede: “Signora, quanto costa un matrimonio nel suo paese? “. “Un matrimonio?”. « Si,quanto costa una moglie, in Italia? »
Non vale la pena parlare di “Amore e libertà”, ho capito che sono concetti che non capirebbero…poi…. detto da una donna!
Anche perché nel frattempo mi arriva una richiesta di amicizia su Facebook del loro capo, il proprietario dell’agenzia che ho pagato per organizzare il viaggio. Sono due soci, li ho incontrati entrambi, uno vive a Parigi, l’altro qui, a N’Djaména. Non sono una che vuole “tanti amici su FB”, ho sempre e solo accettato amicizie da conoscenti o persone con le quali penso di avere cose in comune. E quindi, prima di accettare, sbircio il suo profilo. Ed ecco che, tra pensieri in arabo di dubbia traduzione, ad un certo punto, si palesa il suo pensiero, scritto a caratteri cubitali in francese. « Tout individu qui désobéit à Allah est un éternel ignorant jusqu’à ce qu’il cesse »……(ogni individuo che disobbedisce ad Allah è un eterno ignorante, finché non smette).
Lascio a voi ogni commento, il mio è un semplice, ironico…. « Vive la liberté ! »…..Inshallah!
Dopo questa triste introduzione partiamo perché, fortunatamente, il Ciad non è solo questo, anzi sarà un’immersione totale in una natura unica e spettacolare. Il vero Sahara, quel deserto altezzoso e stravagante dalle mille metamorfosi, si paleserà lentamente, come un trasformista da palcoscenico.
Lasciata la capitale, si prende la lunga strada per Abéché. La strada è una lingua di asfalto che attraversa un’arida campagna
Si seguono auto che strisciano faticosamente sulla strada, stracariche di derrate e persone in pericoloso equilibrio e si rallenta, per lasciar passare le mucche
Ed i cammelli, che attraversano la strada nella loro migrazione alla ricerca del cibo o dell’acqua.
Il territorio non è certo generoso:
Abeche’ appare dopo un deserto pietroso. Luogo di scambi commerciali, la quarta città del Ciad è polverosa e sporca. Per secoli Abéché è stata un fiorente e triste mercato di schiavi.
Il souk è un dedalo di piccole stradine di un labirinto tortuoso. Difficile trovare qualcosa di bello in queste cittadine del deserto.
L’unica cosa ottima è la baguette, un meraviglioso lascito francese
All’improvviso, un posto di blocco. Anche la nostra auto viene setacciata: su quella strada c’è un gran traffico d’armi tra Libia, Sudan e Ciad. Nel caso nostro (siamo gli unici due turisti!), ci lasceranno ripartire con gli auguri di un buon soggiorno.
Dopo Abeche’, per Khalait, la strada diventa una pista. Oltre 270 chilometri di via polverosa, da percorrere principalmente in compagnia di teneri asinelli che trasportano bambini o donne, con i bidoni per l’acqua.
Si attraverseranno villaggi con povere case di paglia,
E qualche pozzo, dove occorre mettersi in coda per prendere l’acqua.
E ancora carovane di cammellieri. A questo punto, poiché adoro i cammelli, chiedo all’autista di fermarsi, e corro verso il gruppo di cammellieri, che, già in lontananza, mi intima di non fare foto, con gesti poco equivoci. Sarò costretta a fare qualche brutto scatto, da lontano. Che peccato!
Il deserto è in continuo mutamento e la porta dell’Ennedi si apre lentamente, come uno scrigno che contiene tanti gioielli preziosi.
Le lingue di sabbia iniziano a mostrare in lontananza delle formazioni rocciose che cambiano il paesaggio.
Anche le capanne sono diverse, costruzioni sempre semplici, ma spesso dalla forma più appiattita.
E poi finalmente appare il primo Guelta. Il termine arabo, indica un qualunque bacino di acqua naturale, uno specchio d’acqua che può essere stagionale o permanente. Nel linguaggio del deserto è come pensare alla vita, perché è lì che si concentra la sorgente d’acqua ed è lì che convergono tutti gli animali del deserto.
Il Guelta de Bachikele appare come un red carpet, circondato da fotogeniche palme, che si stagliano sotto rocce calcaree bellissime
la ragazza vede che sto per scattare una foto e mi fulmina, minacciandomi con il frustino.
Anche le ragazze che stanno caricando l’acqua in bidoni e otri di pelle ci guarderanno con sdegno
Ci sono volute tre lunghe giornate per arrivare qui, ed altrettante saranno al ritorno. Un viaggio faticoso, su una strada spesso monotona, ma quando si arriva in luoghi come questi, ogni sacrificio è ripagato.
Il paesaggio prende forma, e si anima.
Paesaggi unici, con le spettacolari radici degli alberi saldamente attaccate alle pareti di roccia
L’Ennedi sa di antico, è un’immersione in un’era così lontana, che sembra di vivere in un libro che il tempo ha consumato, ma che ha ancora un profumo intenso.
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L’Ennedi cela anche alcune tra le pitture rupestri più famose del Sahara, tra queste anche i « Cavalli da Corsa » di Terkei.
Il deserto è solitudine, orizzonti infiniti, silenzi parlanti. L’alto piano dell’Ennedi è la massima espressione di quella frontiera che tutti sognano di attraversare perché immersione in un film dal sapore misterioso.
Ho avuto la possibilità di campeggiare in molti luoghi straordinari. Uno di questi è i « 5 archi »: formazioni naturali che sembrano sculture, che datano di epoche remote, quando il mare ancora ricopriva quello che oggi è il deserto.
L’acqua, il mare, il vento, hanno modellato queste formazioni geologiche
In mezzo a questa natura straordinariamente unica, ma decisamente poco accogliente, si incrociano cammelli,
ma anche bambine, sole, in mezzo al nulla. Impossibile comunicare con loro: anche le nostre guide non conoscono l’idioma di molti gruppi etnici. Grande tenerezza nello sguardo curioso.
Ancora cammelli sulla strada
Uno dei luoghi più straordinari di questo viaggio è il Guelta d’Archei, una vera icona naturalistica di un deserto misterioso. Le altissime pareti verticali dall’intenso colore rossastro si affacciano su una pozza di acqua dolce dove, nel tardo pomeriggio o al primo mattino, le mandrie dei nomadi Tebu e Bideyat arrivano ad abbeverarsi. Un’atmosfera biblica, un vero Eden.
In questo canyon spettacolare vivono anche gli ultimi coccodrilli del sahara. Qui incontro una ragazzina con il fratello: loro saranno tra le rare persone incontrate che mi faranno un sorriso. Purtroppo anche qui non si riesce a comunicare: Neanche il mio autista e la mia guida locale non riusciranno a capire la loro lingua.
Le sorprese continuano. OYO è un labirinto di formazioni rocciose
Lungo la strada verso Fada c’è un ricordo della guerra degli anni ´70: i carri armati libici sono stati abbandonati in mezzo a quel deserto che li conserva quasi come opere d’arte in un museo a cielo aperto
E poi la strada continua con altre sorprese improvvise. Paesaggi mozzafiato e formazioni splendide come :
Mask Arch
O mushroom rock
Le distanze da percorrere sono immense, e anche quando la strada diventa ancora più sabbiosa, la fantasia ha dato il meglio di se’, creando guglie che si stagliano verso il cielo, canyon ed archi dalle forme più imprevedibili, strutture stravaganti, una Monument Valley immensa e senza turisti!
Vecchie città abbandonate da tanto tempo, conservano quello strano fascino, tra il silenzio vibrante di un deserto che ti avvolge, come le incredibili rovine di Awayke
E ancora altre pitture rupestri a Tukou e Gaora che testimoniano di una vita normale in un luogo che normale non è.
le grotte di arenaria si affacciano su un paesaggio incantevole
Quest’ultima, Gaora Hallagana ha un gioco di archi scavati straordinario
Si riprende la strada del ritorno, ripassando da Fada, ex avamposto francese con relativo forte (assolutamente vietato fotografare, anzi occorre proprio nascondere il telefono nella borsa). Oggi è una specie di cittadina fatiscente, dove il mercato rappresenta tristemente la realtà. Le donne espongono una manciata di pomodori e pochi datteri secchi (non seccati!). In passato questo era uno dei luoghi di passaggio del contrabbando (carburante, sigarette e, purtroppo anche traffico di esseri umani) verso la Libia. Nel 2018 è stato siglato un accordo con la Libia contro il traffico di esseri umani. Difficile capire la reale situazione. Quello che vedo io sono cittadine dove non c’è nulla : Fada è diventata una sorta di villaggio fantasma, dove la gente fa fatica a tirare avanti. E poi Kalait, che, ho scoperto, essere conosciuta per le sue forti tempeste di sabbia: sono contenta che in questo periodo il clima sia stato decisamente clemente.
Seguono poi Bitine e Abéché.
Un venditore che si riposa nell’attesa di un compratore
gli uomini sempre assorti nel telefono
Le cittadine sono estremamente povere: molti ragazzini girano con in mano una ciotola, da riempire di cibo (o soldi).
Gli uomini tranquilli a bordo strada, senza minimamente scomodarsi di fronte a cumuli di immondizia.
Qui manca tutto: il mercato vende i pochi frutti di una terra avara e la benzina viene venduta in bottiglie di plastica, esposte sotto un sole cocente.
La carne arrostita, con un poco invitante color melanzana
Anche qui sono stata minacciata perché prendevo una foto (come vedete)
Lungo la strada si incrociano tantissimi militari in una tenuta che fa timore: il mio compagno di avventure non resiste e scatta velocemente dall’interno dell’auto, una foto a due dei numerosi gruppi armati. Il Ciad resta un paese delicato, dove la situazione politica è ancora fragile e le possibilità di guerra civile e le ribellioni interne non sono da escludere.
Dopo un’immersione nel misterioso mondo della solitudine che avvolge l’esperienza del deserto, il ritorno al caos della città stordisce. Ndjamena è il “porto” di arrivo e di partenza di un paese enigmatico e difficile.
Ho solo meno di un’ora, purtroppo, per correre al festival Dary, che si svolge annualmente nella città. Concerti e danze popolari in un viaggio nella cultura del paese.
Il tempo di qualche scatto veloce, prima di partire per una nuova avventura
In conclusione: un paese straordinario per le sue meraviglie naturali, un meritato sito patrimonio Mondiale Unesco dove perdersi tra le cinquanta sfumature di sabbia e le incredibili formazioni calcaree che sembrano sculture, creando un vero museo a cielo aperto. Peccato che le cittadine siano così poco accoglienti, tra immondizia e corruzione. A tal proposito devo confermare che la corruzione è l’unica cosa che corre veloce tra i ritmi lentissimi di un’Africa nera. Dall’inizio del viaggio abbiamo detto che avremo dovuto fare un test PCR (Covid), prima della nostra partenza, perché richiesto nel paese africano dove saremo andati. Ebbene, malgrado i solleciti regolari, ci viene detto che l’unica possibilità non è di fare il test, ma bensì di acquistarne uno, alla “modica” cifra di 90€. È sufficiente inviare via whatsapp la copia del passaporto e dire che data occorre scrivere. Un’ora dopo, il responsabile dell’agenzia si presenta con un addetto dell’aeroporto e ci rilascia un foglio nominativo, già timbrato con il risultato negativo. Naturalmente i 90€ vanno pagati cash! Anche questa è l’Africa, purtroppo !
Questa volta non posso lasciarvi con scatti delle persone incontrate (pochissime si sono lasciate fotografare).
Voglio partire dal Ciad con il ricordo di un percorso su “strade” surreali che attraversano panorami mozzafiato.
e vi lascio con i tramonti infuocati
2 risposte
Ciao Lauretta a kalait sono passato anni fa ma vedo che non è cambiato niente poi dopo fada ero andato a Niola dola a vedere le incisioni rupestri delle ballerine bellissime….
Buon viaggio Lauretta
Ciao, contenta di sentirti. Happy Travels a te!