Il confine Etiopia Sudan rappresenta l’Africa vera, semplice, quella lontano dagli occhi un po’ ovattati del turista classico. C’è un cancello, appoggiato ad una vecchia lastra di lamiera, che viene tenuto aperto durante il giorno (difficile capire quali sono gli orari): una corda alzata indica che ti devi fermare.
Ci siamo solo noi, nessuna automobile, nessun camion. Staremo lì mezza giornata perché i ritmi africani sono così: nessuno che si affretti a chiedere il passaporto, gli addetti si muovono lenti, nel chiacchiericcio costante tra amici, o colleghi o parenti. Resto a guardare, nella lunga attesa, e rubo una foto dal camion.
Ore ed ore dove l’unico traffico è fatto di carretti trainati da asini che fanno la spola tra i due paesi.
I banchetti servono deliziosi falafel e insalate di pomodoro: certo, non bisogna essere igienisti, ma io non so resistere e mi abbuffo, seduta su scomodissimi divanetti intrecciati.
Finalmente iniziano i controlli, estenuanti: tutti i bagagli vengono svuotati completamente. Un controllore annusa la bottiglietta che contiene il liquido per le lenti a contatto, un altro apre e tocca l’untuosa maschera per i capelli alla cheratina. Un incubo!
Si parte e si prende quella lunga strada che porterà alla capitale, 550km. Il primo tratto è lentissimo; anche se ci sono poche auto e camion, le buche fanno avere una velocità di crociera decisamente bassa.
Ma io amo questi viaggi, a contatto con la vita reale. Si sorpassano carretti e motorette con bambini, donne e uomini, che trasportano di tutto: bombole del gas, legna, acqua, pecore.
I villaggi sono gruppi di case di paglia, ed un “chiosco” che vende un po’ di verdure e dell’ottimo pane.
Il Sudan è l’antica Nubia: il vero nome “Bilad as Sudan” significa “Paese dal popolo nero”. Ed è così che si distinguono quelle popolazioni che vivono lungo il Nilo. Il Sudan rappresenta un po’ l’unione tra l’Africa bianca che vive lungo il Mediterraneo e l’Africa Nera. Un paese ancora alla ricerca di stabilità politica.
Ad un certo punto, improvvisamente, si arriva sulla strada asfaltata e questo indica che ci stiamo avvicinando alla capitale. Khartoum appare quasi come un oasi, segnando quello stacco dai villaggi con le capanne di paglia. Una metropoli con oltre sei milioni di abitanti (se si considera l’immensa periferia), un luogo degli opposti, dove i quartieri dei dimenticati alzano gli occhi verso quella parte della città moderna che guarda il futuro.
Khartoum si trova alla confluenza del Nilo Bianco, che nasce dal lago Vittoria in Uganda, ed il Nilo Azzurro, che scorre ad ovest dell’Etiopia. Vi suggerisco una piacevole passeggiata lungo il fiume fino all’isola Jasirat Tuti. I battelli adibiti a ristoranti o bar sono una piacevole sosta.
Per chi vuole una “haute cuisine”, nello splendido Hotel Corinthia, che si affaccia sul fiume e splende con la sua architettura moderna, ci sono alcuni ristoranti. Uno asiatico (aperto di sera) ed un ottimo Grill. Per gli amanti dei dolci, il bar propone delizie internazionali.
Poco più avanti sorge il Grand Hotel Villa, un altro bell’albergo. Ho trascorso una giornata qui e poiché non c’erano turisti, un anziano cameriere mi ha raccontato la storia del luogo.
In un paese come il Sudan (dove la legge islamica viene rispettata), sembra strano sentire: “ dove siamo noi ora, negli anni cinquanta, i discorsi politici scorrevano come l’alcool. Le grandi menti della Khartoum dell’epoca si ritrovavano qui e davanti ad un whisky ci si lasciava andare ai pettegolezzi sui rivali delle alte sfere. E si firmavano documenti politici, in una Khartoum estremamente cosmopolita, aperta e moderna, dove la prostituzione era legale, e bar e night club servivano fiumi di alcool . Il declino iniziò a fine anni settanta, quando un colpo di stato porto’ al governo Nimeiry, che iniziò una politica di islamizzazione e conseguente chiusura di molti bar e locali considerati trasgressivi, anche solo perché venivano serviti vino e birra. Ed ecco che anche questo Hotel, di stile vittoriano, che aveva anche ospitato nel 1965 i membri della delegazione della Regina Elisabetta, è caduto in disgrazia, per molti anni. Recentemente è stato acquistato da un investitore Pakistano, che sta cercando di riportarlo al suo antico splendore (naturalmente rispettando le leggi del paese islamico e quindi senza alcool)”. Buona parte è stata ristrutturata ed i lavori continuano.
Poco lontano dall’Hotel, si può prendere un battello che porta alla confluenza tra il Nilo Bianco ed il Nilo Azzurro. Purtroppo quel giorno è arrivato un acquazzone, fortunatamente poco prima dell’imbarco. E qui viene fuori la vera Khartoum. In poco tempo le strade si allagano ed il centro si trasforma.
Il centro di Khartoum non ha strade asfaltate.
Il giorno seguente la terra inghiotte l’acqua e la città mostra il suo lato più orrendo: le pozze raccolgono l’immondizia e la melma. Ma la gente non ci fa caso e la vita continua tranquilla, come se non fosse successo nulla.
Se camminate per la città vi consiglio due delizie. La prima è il caffè, preparato da donne che improvvisano semplici banchetti in strada: un paio di sgabelli, una griglia con la brace sempre pronta, qualche cucchiaio di caffè, molto zucchero e la magia si avvera, tra le nuvole dell’incenso che si alza nell’aria.
Credetemi, è ottimo!
Se invece avete sete, sempre per strada, pullulano i banchetti di succhi naturali: buonissimi. Uno dei miei preferiti è ananas-avocado.
Passeggiando, troverete parecchie chiese e moschee
Una delle più famose è sicuramente la moschea Al Kabir, detta anche The Grand’ Mosque, costruita un centinaio di anni fa, con arenaria rossastra. Vietato l’ingresso alle donne.
Di fronte si svolge un vivace mercato, dove si trova di tutto, dai vestiti ai Tasbeeh (rosari mussulmani), ai prodotti locali, come i datteri.
A proposito di cibo vi segnalo in città alcuni indirizzi di buona cucina, non sudanese. Ho avuto la fortuna di trascorrere una serata con una ragazza americana che vive qui da alcuni anni.
Ozone Restaurant and bakery è il ritrovo di tutti gli stranieri in città: buona cucina internazionale e soprattutto ottima pasticceria (da consumare sul posto o in take away). Anche i gelati sono molto buoni.
Assah Lebanese Village è uno splendido ristorante libanese, molto frequentato durante l’ora di colazione
Se avete la fortuna di essere a Khartoum il venerdì, non perdetevi la cerimonia dei Dervisci, discepoli di alcune confraternite islamiche (il termine significa “monaco mendicante”). Si tratta di asceti che vivono in mistica povertà (simili ai frati mendicanti cristiani), che si trovano ogni venerdì, prima del calar del sole, ad Omdurman, nel cimitero, di fronte al mausoleo di Ahmed al Nil, per onorare il loro leader. Una cerimonia interessante a cui possono partecipare anche coloro che non aderiscono all’ordine. Canti dedicati al profeta Maometto accompagnati da strumenti a percussione. L’aria si riempie d’incenso, mentre i Dervisci si abbandonano ad una danza vorticosa così intensa, che sembra una sorta di trance. Quella che loro chiamano “purificazione dell’anima”, coinvolge tutti i partecipanti. Noi siamo stati accolti con grandi sorrisi (le donne mi hanno chiesto di posare con loro nelle loro fotografie): un momento di condivisione autentica.
Nelle danze si vede il coinvolgimento emotivo dei Dervisci
Ancora qualche immagine della capitale
È ora di lasciare Khartoum ed imboccare la strada che porta a Nord, verso l’Egitto. Con gran sorpresa ci troviamo su una strada asfaltata, dritta, che taglia un immenso deserto di sabbia dai colori intensi. Una monotona strada che ci accompagnerà fino a Meroe.
Eccolo, il gioiello del Sudan: le piramidi nubiane di Meroe sono del periodo Meroitico (720-320 aC). Furono costruite da vari re, oltre 500 anni dopo che in Egitto se ne era cessata la costruzione. Nel periodo Meroitico vi furono sepolti oltre 40 re e regine. I Nubiani seppellivano i componenti della famiglia reale dentro strutture piramidali, perché questo aiutava le loro anime a raggiungere l’aldilà.
Le piramidi di Meroe sono molto diverse da quelle egizie, e sono costruite a gradoni con basi di massimo otto metri e altezza dai sei ai trenta metri.
Si prosegue verso nord fino a Jebel Barkal, o “Montagna pura”, un rilievo a ridosso della quarta cateratta del Nilo. Qui abbondano i resti archeologici che raccontano il passato glorioso dell’antica Nubia.
E qui, nell’arida foresta pietrificata piantiamo le tende, lasciandoci trasportare dal silenzio parlante della storia.
Procedendo verso la frontiera con l’Egitto si arriva ad Abri, una piccola e polverosa autentica cittadina dai lenti ritmi africani, che si trova sulle sponde del Nilo. Una sosta, prima di proseguire per la frontiera con l’Egitto, un’altra estenuante attesa con lunghi controlli dei bagagli, anche per uscire dal paese.
L’attesa del traghetto che ci porterà ad Abu Simbel sarà ancora più lunga, perché arriveremo tardi per l’ultimo traghetto della settimana (giovedì sera) e saremo costretti ad accamparci 72 ore sulle sponde del Nilo , sotto un sole rovente di inizio settembre.
La traversata sarà la meravigliosa conclusione di un viaggio in un paese con molte contraddizioni, come la maggior parte dei paesi africani.
Bye Bye Sudan