Architettura coloniale Britannica, foreste incontaminate che nascondono una fauna selvaggia, dai formichieri ai caimani, fino ai giaguari. Un luogo che unisce l’eco turismo all’avventura, passando dall’Essequibo River al piccolo aereo che sorvola le cascate Kaieteur, un miraggio perfettamente reale, in uno dei più straordinari polmoni della terra. La Guyana sembrerebbe un paradiso, se non fosse che appena arrivi nella capitale, in una semplice Guesthouse, ma gestita da una dolcissima signora che ti accoglie come un’amica, ti senti dire: “mi raccomando, state attenti quando camminate, tenete il portafoglio ben nascosto”.
Georgetown è una delle più brutte capitali mai viste. Brutte le strade, sporche e tristemente piene di barboni, brutto il mercato esterno, lercio, con la gente che beve la bibita e getta la lattina per terra, brutte le spiagge dove l’immondizia copre la sabbia dorata.
E poi mi sistemo all’angolo della strada per scattare qualche foto ad una delle poche cose belle che ho visto sinora, la bianca cattedrale, in avanzato stato di restauro.
Ed eccolo l’ennesimo monito: un’auto accosta, la signora tira giù il finestrino e sbraita : “nascondi il cellulare, se non vuoi che qualcuno te lo porti via”. Che incubo!
Nel traffico insano della città si incontra di tutto: oltre ad auto e camion, le file si accodano dietro trattori e carretti trainati da cavalli.
Vicino alla Cattedrale di St.George, la Biblioteca è un altro bell’esempio del periodo coloniale, così come lo Starbroek Market.
Nella periferia la vita scorre lenta
Lascio con piacere la capitale per tuffarmi tra la natura. Andando verso nord, si arriva a Parika, un vivace centro, da dove partono i traghetti che permettono di attraversare l’Essequibo senza lunghe deviazioni.
Ho avuto la fortuna di visitare la regione del Pomeroon-Supenaan con un ragazzo locale, che lavora e vive a Georgetown ed ha preso alcuni giorni di vacanza per andare a trovare la famiglia che vive a Charity, un ridente villaggio.
Le attività principali della regione sono l’agricoltura e la pesca. Le case sono spesso costruite su palafitte per “difendersi” dai nubifragi della stagione delle piogge che causano allagamenti.
La natura è rigogliosa
Questa è una tipica prima colazione « casalinga »: uova strapazzate , pane e pesce secco, una delizia ed un pieno di energia
A proposito di cibo, il piatto tipico è il cook up rice, o “all-in-one”, un riso stufato molto rustico, con ingredienti che variano a seconda della disponibilità. Fagioli, carne di vitello, maiale o pollo o pesce essiccato. E poi si possono mettere spinaci, patate e tantissimi altri ingredienti. Un semplicissimo piatto della domenica che mi ha preparato la proprietaria della Guesthouse
Per gli amanti di cibi più leggeri, i banchetti di frutta e verdura lungo la strada, sono decisamente allettanti.
Dalla costa si può fare una deviazione per raggiungere un luogo molto frequentato dal turismo locale. Il Mainstay Lake Resort (che sorge sull’omonimo lago) ha spiagge di sabbia bianca ed è circondato da una natura intonsa.
Ridenti paesi si susseguono
Tornati a Parika, prendiamo un piccolo battello che ci porterà, questa volta, all’interno, costeggiando isolette immerse in una natura dai verdi intensi, lungo l’Essequibo e le sue ramificazioni.
Fort Island ospita the Dutch Heritage Museum, e Fort Zeelandia, un forte costruito nel 1743. Questa è anche una delle strutture più vecchie del paese.
Il piccolo forte (15×20 metri) è stato costruito dagli olandesi, con un obiettivo difensivo, in una posizione decisamente strategica, alla foce del fiume Essequibo
Poco più avanti si trova un’isola privata che è stata acquistata da Eddy Grant, nato Edmond Montague Grant, un cantante, musicista e produttore discografico guyanese naturalizzato britannico di genere reggae/pop, autore di successi internazionali come Electric Avenue, Walking on Sunshine e Gimme Hope Jo’anna. L’idolo della Guyana ha costruito qui la sua splendida dimora.
Purtroppo di Fort Kyk over Al, che fungeva da centro per l’amministrazione olandese della contea, restano solo le rovine.
Poco oltre, una camminata porta ad una serie di cascate in mezzo alla selva, luogo perfetto per rinfrescarsi.
Una strana scimmia fa capolino
Finalmente si arriva a Sloth Island, una foresta pluviale. Il bradipo è lassù, appena visibile all’occhio umano, troppo lontano per uno scatto con il cellulare. Peccato !
La strada del ritorno fa una sosta a Bartica, altro luogo di villeggiatura. E qui, purtroppo, si vede la brutta presenza umana: i bambini giocano sull’arenile in mezzo all’immondizia.
Ma il peggio è che i genitori li osservano tranquillamente seduti sulla panchina.
Si riparte, per tornare a Georgetown
Avete presente quei film degli anni ‘80 stile la Mia Africa, dove un piccolo aeroplano un po’ asmatico sorvola una natura intonsa dove il cemento dell’uomo non è ancora arrivato? Sembra stia parlando del passato, ma, vi assicuro, ci sono ancora luoghi così. L’aereo è pronto. Durante la mia lunga attesa (tre ore di ritardo sulla tabella di volo) ho chiacchierato con il General Manager del piccolo hangar da cui è uscito quello che io chiamerò “il cardellino volante”. Ed è proprio il General Manager che mi accompagna ed invita a prendere posto finestrino lato sinistro. Arriva il pilota e indica ad uno dei passeggeri di sedersi davanti, accanto a lui. Cioè, scusatemi, ma se il pilota dovesse avere un malore? Poi guarda le altre tre persone e da’ loro istruzioni su dove devono sedersi. Un uomo chiede se può spostarsi dall’altro lato, ma lui lo ammonisce: “questione di peso e bilanciamento”. Si accendono i motori. Colpo di tosse, starnuto, colpo di tosse … il rollio è lento, saltellante, su un asfalto datato. Quando prende il volo, il “cardellino” cinguetta, con quel suono stridulo e regolare che mi accompagnerà per tutto il viaggio. Ogni tanto un colpetto di tosse, che mi fa sussultare. Poco più di un’ora di fiato sospeso, cercando di pensare ad altro. Poi, all’improvviso, mi trovo avvolta nelle cinquanta sfumature di verde. Il quadro prende forma: pennellate d’artista.
Verde muschio, verde cinabro, verde Arlecchino, verde pino, verde olivastro, verde menta, verde mimetico, con un tocco prezioso di verde smeraldo. In mezzo, la serpentina marrone che indica una via. Eh si, perché il Potaro, un affluente dell’Essequibo, che si snoda per 225 chilometri, è anche detto “il fiume color caffè “ in quanto le sue acque hanno un colore scuro intenso. E, sopra tutto, nuvole di panna che si muovono lentamente, nell’immensità.
Un armonioso immenso dipinto della natura.
Uno dei polmoni della terra. Un respiro sottile.
Poi, all’improvviso, appare lei, e la poesia si arricchisce. Un miraggio reale. La cascata, uno spumoso movimento d’acqua.
Il cardellino volante si emoziona, volteggia sopra cotante beltà quasi come se volesse inchinarsi per renderle omaggio. Poi cerca un angolo libero, uno spazio dove poter posare le sue vecchie membra. Tentenna, mentre si abbassa dolcemente, fino ad infilarsi in un piccolo corridoio, quasi impercettibile, e si posa lì, tra quel cemento che lotta duramente contro radici piene di linfa che si moltiplicano a vista d’occhio.
Il Parco Nazionale Kaieteur è selvaggio, non ci sono (per ora, fortunatamente) strutture, a parte un centro studi sulla natura, dove vivono alcuni studiosi di scienze ambientali. Il Parco si trova in una zona reclamata dal Venezuela. Nel 1929 la British Colonial Administration istituì il Parco Nazionale, che fu drasticamente ridimensionato nel 1973 per permettere l’estrazione di oro e diamanti. Quando alcune miniere vennero chiuse si ottenne un’estensione del parco che oggi raggiunge i 626 chilometri quadrati. Questo paradiso per gli amanti della natura consente ancora un’immersione totale in una selva remota, perché raggiungibile solo con il “cardellino volante” o con un trekking di circa 3-4 giorni .
Camminare nella fitta foresta pluviale e’ riempirsi i polmoni di linfa. In mezzo al verde intenso spuntano fiori rosa e farfalle che vibrano veloci. Ma questo è anche il paradiso di animaletti unici, rane dai colori vivaci, come l’endemica rana dorata (golden rocket frog) e piante carnivore. Per questo occorre sempre seguire il sentiero indicato dal ranger, e mai allontanarsi. E si arriva finalmente alla cascata. Pur essendo meno famosa delle Victoria Falls o Iguazu, Kaieteur Falls è la più grande cascata a goccia singola al mondo: Immaginate un volume d’acqua di 221 metri di altezza e 100 metri di larghezza.
Qui tutto è intonso, compreso il fatto che non ci sono barriere di protezione, ed è impressionante avvicinarsi al baratro che mostra la cascata ed il fiume sottostante con le sue pareti di roccia nuda in mezzo ad una vegetazione lussureggiante.
Peccato non poter restare una notte in mezzo a questo ambiente da favola, inviolato, ma al tempo stesso sono felice di trovare un paradiso che fortunatamente non ha ancora avuto lo sviluppo turistico che intaccherebbe questo idillio. Ed ora sono contenta di aver dovuto attendere cinque giorni per poter venire qui: le visite si effettuano in piccoli gruppi di almeno sei persone e poiché la Guyana fa parte di quei paesi ancora poco turistici, l’aereo non parte finché non è pieno. E poi c’è il fattore clima, importantissimo: le condizioni meteorologiche devono essere perfette per il volo.
Risalgo sul “cardellino volante” serena, lo stress dell’andata è sparito, sono in pace con me stessa e, di conseguenza, con il mondo. E riguardo dall’alto la fiaba sottostante che scorre.
Credetemi, la cosa più bella è la foresta vergine che sorvoli con l’aereo…. La cascata è un regalo in più!
Lascio la Guyana via terra, e mi imbarco sul traghetto che mi porterà in Suriname, un’altra strana frontiera dove i controlli e le registrazioni dei documenti sono fatti ancora a mano. Ho amato molto il Suriname, dove ho trascorso ben due settimane. Se volete potete leggere il mio racconto di alcuni mesi fa.