Una vera Regina cambia abito più volte al giorno. Adatta il trucco ai colori del vestito e cambia movenze quando passa da una svolazzante seta ad un tubino attillato. E scende in una piatta hawaiana, per poi rialzarsi su un tacco 12. Una donna apparentemente vanitosa cerca di modulare la voce con quel tono cadenzato ben studiato e poi, all’improvviso tace, per lasciar posto ai chiacchiericci dei “vorrei ma non posso”. Le dune del deserto dell’Arabia del sud (Rub Al Khali), sono così, belle, di quella bellezza da togliere il fiato, in ogni momento della giornata. Il sole, il vento, la calura, il ghiaccio, nulla le scalfisce. Cambiano forma, colore, intensità, trasformandosi in breve tempo da “regine a regine”. È come se avessero più personalità, tutte diverse e tutte incredibilmente affascinanti. Amo salire sulle dune al mattino presto, quando la sottile crosticina del freddo notturno si sgretola sotto i miei piedi e poi tornare, verso sera, quando i piedi sprofondano nella soffice polvere rossa ancora calda. E le ombre si allungano, trasformandosi in giganteschi esseri dall’aria goffa. Come Indiana Jones immagino di scivolare nelle viscere della terra e risalire con il talismano della felicità.
Ma le cose belle vanno attese, quindi vi porto prima in giro per questo immenso paese dall’aria fanciullesca, perché si sta aprendo al turismo di massa solo ora.
Immaginate un paese rigoroso, dove le dure leggi ataviche sono applicate fino agli alti confini invalicabili. Nessuno ha mai osato pensare di andare in Arabia Saudita senza quella paura dello sguardo puntato addosso.
Oggi l’energia del cambiamento vibra in quell’aria che si è fatta improvvisamente lieve.
Il principe ereditario Mohammad bin Salman ha dato una svolta epocale ai costumi locali: dal gennaio 2018 le donne non devono più essere accompagnate da un uomo che fa da tutore, anche per viaggiare. E possono andare allo stadio, guidare ed….udite udite addirittura non è più obbligatorio vestire l’abaya, quella veste del mondo arabo, nera, lunga fino ai piedi, spesso accompagnata dal niqab, il velo con il viso coperto. (la nuova legge dice solo che la donna deve vestire in maniera decente e rispettosa). Insomma, una vera rivoluzione che sembrerebbe epocale per il paese, anche se in realtà, francamente, attraversando in quattro settimane gran parte del paese, devo dire che ho visto la maggior parte delle donne con l’abaya (accompagnato spesso dal niqab, il velo quasi integrale), e pochissime donne vestite “all’Europea”. E poi mi lascia di stucco la risposta del giovane e gentil tassista cui chiedo se preferisce sua moglie in vestiti occidentali. Lui mi risponde che no, la preferisce addirittura con il velo integrale perché nessuno deve guardare e desiderare sua moglie. Risposta di un giovane che mi fa molto pensare, soprattutto perché il paese è formato per il 70% da ragazzi che hanno meno di 28 anni.
Ma il giovane principe ereditario, che ha depotenziato la terribile polizia religiosa, è un vero influencer leader arabo e questo fa ben sperare.
Tanto per chiarire alcuni termini che userò sui veli delle donne, vi lascio questa foto esplicativa
L’obiettivo dell’Arabia Saudita è diventare non solo il cuore del mondo arabo, ma anche una delle quindici economie più importanti del mondo.
Un viaggio in Arabia Saudita è il perfetto connubio tra passato, presente e futuro, tra l’antica città di epoca Nabatea Hegra (come Petra in Giordania), i grattacieli di Jeddah, la meravigliosa (così bella da sembrare un dipinto) oasi di Al Ula, ed infine il mar Rosso, qui incontaminato, per non parlare di quel deserto (Rub Al Khali) di morbide dune che sembrano uscite da una tavolozza di un pittore, che abbraccia gli Emirati Arabi.
Stiamo parlando di un paese che è stata una delle prime terre conquistate dall’uomo sapiens partito dall’Africa verso il mondo emerso (i graffiti risalenti ad oltre diecimila anni fa ne sono la prova). E passiamo all’Arabia Felix, l’antica via del commercio dall’Oman allo Yemen, con l’arrivo di varie popolazioni come i Nabatei, che hanno lasciato meravigliose tracce indelebili nel paese. La storia dell’Islam inizia a La Mecca nel 600 con la nascita di Maometto. E poi il veloce dominio arabo dell’Islam in Medioriente. L’Arabia Saudita nasce nel 1932 con l’incoronazione di Abd al-Aziz inn Al Sa’ud come re dell’Hijaz.
L’entrata via terra dagli Emirati Arabi Uniti è complessa. Più di sei ore di attesa, con controlli estenuanti (malgrado abbiamo fatto il test COVID ventiquattro ore prima, il visto approvato online, ecc.), anche se siamo gli unici turisti in quell’immensa frontiera a più corsie e sia tarda sera.
La strada verso Riyadh è un lunghissimo rettilineo a due corsie per senso di marcia. Circa 500 km di monotono deserto di pietre e sabbia. Tutto è incredibilmente selvaggio, ci sono pochissimi paesi abitati e comunque la distanza tra uno e l’altro è impressionante.
E poi ci fermiamo in una stazione di servizio un po’ datata, sulla strada. Un ristorante semplice, gestito da pakistani, propone riso biriani con pollo. Un’amica ed io ordiniamo e stiamo per sederci al comodo tavolo dei nostri compagni di viaggio, quando il proprietario ci indica una stanza, fuori dalla sala principale del ristorante. Pensando che si tratti del bagno, usciamo, ma quando arriviamo lì troviamo una stanzetta con solo un tappeto pieno di macchie e qualche filo che pende. Rientrati al ristorante ci sediamo al tavolo con i nostri amici, quando il proprietario ci apostrofa: “voi, donne, non potete stare qui, dovete andare nella stanza per le famiglie”. E ci ritroviamo, Kate ed io, appollaiate, con il nostro cibo che viene lasciato per terra, sopra un pezzo di nylon, a coprire il sudicio tappeto. E poi cerchiamo il bagno, dietro la piccola Moschea. Accanto all’entrata, da cui esce un odore impossibile, le donne pregano: rubo una foto veloce mentre sono di schiena, ma non oso riprenderle nel loro velo integrale che non lascia nemmeno trasparire l’ombra di una pupilla.
E penso, con profonda tristezza: “È lunga la via verso la normalità per le donne di periferia”. E spero di vedere di meglio più avanti nel mio viaggio.
Da As Sayh la strada n.10 sono centinaia e centinaia di chilometri di puro deserto di sabbia e pietre: niente a che vedere con le romantiche dune del film Lawrence d’Arabia. Un gran piattume diritto di centinaia e centinaia di chilometri, su una strada a due corsie per senso di marcia. Si potrebbe pensare al nulla, finché non si incrociano quelle magiche carovane di dromedari, dal passo felpato. Il cammelliere avanza, con il suo dolce seguito, un’allegra brigata da film sul deserto.
Ma non tutti sono così: ogni tanto si incrocia il cammelliere moderno, che insegue i dromedari comodamente seduto sull’auto e parte zigzagando e clacsonando come sul grande raccordo anulare di Roma nell’ora di punta, per far sì che il dromedario, che si è allontanato, torni sulla retta via, con i compagni di viaggio.
Ogni tanto una pompa di benzina, semi abbandonata, ed un chioschetto che vende dolci colorati dal sapore innaturale; l’unico esempio del nuovo che avanza sono proprio loro, le merendine, le patatine, i dolcetti e le caramelle, pieni di coloranti e conservanti, che abbagliano gli scaffali arrugginiti dandoti l’illusione di essere in un supermercato americano.
Anche i gelati sono una brutta sorpresa: colori diversi, nessun profumo, stesso sapore. Ho voluto provare un cornetto alla vaniglia e poi uno al cioccolato: se avessi chiuso gli occhi, non avrei notato la differenza di gusto.
Le giornate sono calde, anche se siamo ad inizio dicembre, ma quando cala la sera il freddo incombe nel deserto e la temperatura precipita drammaticamente.
Tra Najran e Wadi Addawasir, una deviazione porta verso un sito Unesco, Hima. Una collezione nella roccia di scene di animali e scene di vita in una continuità culturale di 7.000 anni.
E poi si sale e sale, fino a 2900 metri dove faremo campo base all’interno di un parco con vista sulla montagna più alta dell’Arabia Saudita, Jebel Sawda, 3133 metri. La temperatura scende a 4 gradi nella notte.
L’alba sui monti è eroica. Le vette sono avvolte in nubi di foschia e creano quel flou magico che incanta.
Grandi gruppi di babbuini abitano la zona e corrono a destra e manca aprendo con gran voracità i sacchi di plastica. Purtroppo l’immondizia abbonda, lasciata all’incuria di chi non pensa che l’istinto animale spargerà ovunque i resti chiusi in un sacchetto di plastica.
Alcuni babbuini sono buffi:
Uno di loro usa le due zampe per finire la poca Pepsi rimasta nella lattina.
Un altro sta comodamente seduto su una roccia come farebbe uno di noi e guarda la scena intorno.
E poi c’è un maschio alfa dal grugno infastidito
L’altro maschio, dalla folta chioma, apre le fauci in un rumoroso sbadiglio, mostrando una dentatura che intimorisce. Dietro, lo spettacolo di quella panoramica strada che porta a fondovalle
La famigliola serena guarda, sempre con l’occhio vigile del maschio alfa, che sembra uscito da un salone di bellezza.
La lunga strada ogni tanto mostra dei villaggi, abbarbicati su quella roccia dall’aspetto fragile.
Al Yanfa sembra un paese abbandonato. Le stradine sono circondate da case con inferriate e finestre chiuse. Solo il sottofondo di un’emittente radiofonica che trasmette una sorta di litania (versione islamica di Radio Maria) fa pensare ad un mondo che vive lì’ probabilmente senza (o quasi ) mai uscire. E poi ci sono loro, le vecchie case di fango, pietra e ardesia, color sabbia, che combattono contro il tempo che passa. Nessun lifting, belle come mamma natura vuole, con quelle rughe che raccontano una storia. Anche se molti edifici sembrano gusci svuotati, il luogo è magico.
La prima grande città che incrociamo è Abha. Arriviamo al mattino verso le nove e trenta e tutto tace. I negozi chiusi, poca gente in giro. Ci avviamo verso uno dei pochi caffè aperti: un elegante bar, con decorazione moderna. Sedute, in vari tavoli, solo donne, locali, con il loro abaya nero ed il niqab. Chiacchierano, come facciamo noi tra amiche, degustando quel caffè che qui costa la bellezza di oltre 5 euro. Cerco un approccio, un sorriso ed un “Salam Alaikum” , sperando in una risposta (che non arriverà) per poter capire qualcosa di più sulla vita delle donne. Ma purtroppo sarò costretta a desistere e partire verso il famoso Tuesday Market.
Ad Abha c’è un classico mercato arabo che ha luogo ogni giorno. Abiti, stoviglie e pentolame, spezie, profumi per la casa, gioielli, verdura e frutta, sono in bella mostra nei negozietti, sistemati in questo spazio dalla forma circolare, ma il martedì è speciale.
Gli apicoltori arrivano con il loro carico prezioso ed il mercato si anima di quegli avventori alla ricerca dell’oro giallo arabo. Il miele Asir è famoso in tutto il mondo. La sua fragranza, il suo colore e la sua consistenza lo premiano miglior miele (ed il più costoso) del mondo. Per questo le trattative degli avventori sembrano uno scambio di azioni alla Borsa di New York. Si pensa che questo raro miele abbia poteri curativi eccezionali, dalle malattie del fegato e della pelle alle malattie respiratorie. Insomma una vera panacea.
Nel mercato sono tutti molto gentili, gli uomini salutano con un “welcome, benvenuti”.
Apro una parentesi: sinora siamo i soli turisti da quando siamo entrati in Arabia Saudita, cioè sette giorni fa, anche se devo dire che questa parte del paese percorsa (il Sud) è sicuramente la più remota e quindi meno frequentata da visitatori in vacanza. L’apicoltore ci fa assaggiare il suo nettare, e, qui, tra i banchetti colorati, alcune ragazze si lasciano addirittura fotografare con un sorriso spettacolare, che si immagina sotto al velo portato con disinvoltura.
Alcune donne hanno le mani tatuate
E uomini hanno il kajal sotto gli occhi. Il Kajal arabo si chiama anche kohl. La credenza dice che il kohl scaccia il male, il diavolo. Ho letto che in alcuni posti islamici (in questo caso si riferiva all’Isis in Siria e precisamente ad Aleppo) è diventato obbligatorio per l’uomo usare il kajal o matita nera sotto gli occhi: la “norma” è scritta seguendo quanto detto da Maometto, cioè che si doveva usare l’antimonio, sostanza contenuta nel Kajal.
A poco meno di un’ora di strada c’è un capolavoro della storia. Il villaggio di Rijal Almaa sembra uscito da quella fiaba che narra di una principessa rapita e portata in mezzo al deserto. La giovane riesce a scappare e corre e corre in mezzo a quel deserto che sembrerebbe inghiottirla, fino a quando appare il presepe, davanti a lei. Il famoso centro commerciale regionale che collegava lo Yemen, la Mecca e l’Oriente, è oggi un paese abbarbicato dalle caratteristiche case a più piani in pietra, fango, argilla e legno con meravigliose finestre colorate. Un dipinto straordinariamente perfetto, soprattutto per chi, come me, ha la fortuna di visitarlo nel tardo pomeriggio quando le luci e la temperatura sono perfetti e non ci sono turisti. Costruito nello stile Yemenita, pare sia una dei più bei villaggi di tutto l’Estremo Oriente.
Nel parco dell’Asir c’è anche il villaggio sospeso di Habala, un gruppo di case in arenaria abbarbicato al bordo di una parete rocciosa, che precipita a 400 metri. Il nome deriva da Habal: corda, perché un tempo vi si arrivava solo arrampicandosi con una corda. Oggi, questo villaggio costruito oltre 370 anni fa dalla tribù khatani per fuggire agli Ottomani (da notare che gli abitanti erano autosufficienti, vivendo del loro bestiame e dei frutti delle terrazze coltivate) è raggiungibile in cabinovia, ma purtroppo solo da maggio ad ottobre, quindi noi (essendo dicembre) abbiamo trovato chiuso.
E si riparte verso nord, abbandonando quel monocolore del deserto meridionale per ritrovare pianure verdeggianti e lussureggianti vallate costellate da qualche villaggio ed allevatori di pecore o dromedari.
La strada continua fino a Jeddah, la “California Saudita”, quella città che profuma di modernità, dolcemente posata sulle rive del Mar Rosso. Nel grande contrasto tra i grattacieli ultra moderni ed i quartieri storici, come Al Balad, la seconda città più grande, dopo la capitale Riyad, conta oltre quattro milioni di abitanti. Posizione strategica, anche per il clima, essendo sul mare, è bellissima, anche per quelle opere di ingegneria moderna che hanno trasformato un antico villaggio di pescatori in una moderna metropoli.
Come in molte città della penisola Arabica la Corniche è lo splendido lungomare dove si trovano edifici moderni. In grande contrasto con Al Balad, l’interessante centro storico, dichiarato Patrimonio dell’Umanita’ dell’Unesco. Le tipiche case con le facciate di legno intarsiato ed i caratteristici souk sono un incanto.
Jeddah è un crocevia fondamentale per milioni di pellegrini che arrivano sia in aereo sia via mare ogni anno per recarsi a La Mecca (la città intoccabile per i non mussulmani, con la più grande moschea del mondo che accoglie ben quattro milioni di fedeli) che dista solo un’ottantina di chilometri.
Il centro storico è ancora più stupendo se si ha la fortuna di vederlo in momenti diversi. Il venerdì, giorno di preghiera, non c’è nessuno in giro e tutto appare come una città abbandonata. Sembra un set fotografico di un film sulla fine del mondo. A questo proposito, siamo arrivati in città quando aveva luogo il festival del cinema proprio nel centro storico e la sera tutto prende vita. Il Red Sea International Festival è stato lanciato nel 2019 e propone le nuove tendenze dello storytelling ed i nuovi talenti emergenti. Una perfetta fusione tra antico e moderno, la tradizione che abbraccia il futuro, così diversi.
la sera il set si illumina e tutti diventano attori, pronti a recitare la loro parte
Le dimore di epoca ottomana sono uno dei pochi esempi esistenti di architettura tradizionale del Mar Rosso caratterizzata dall’utilizzo della pietra corallina, che è un ottimo coibentante. Splendidi i balconi, vere e proprie opere d’arte in legno di tek con le caratteristiche grate (mushrabiyah), che permettevano alle donne di guardare all’esterno rimanendo nascoste allo sguardo altrui.
È giorno di preghiera. La moschea è troppo piccola per contenere tutti ed un gruppo di devoti segue le indicazioni del muezzin fuori, sulla strada.
Il Roshan Cafe’ è uno splendido bar, con quell’atmosfera famigliare molto cosy, in un’antica casa di questo meraviglioso centro storico.
Tornando sulla Corniche, ci sono oltre trenta chilometri di lungomare, dove il venerdì pomeriggio le famiglie si fermano a fare il picnic. Un uomo, due o tre donne, praticamente tutte con il niqab, ed i bambini, tutti accovacciati sui prati. Il riso condito (verdure e carne, spesso di agnello) è in un grande piatto in mezzo al cerchio. La donna prende un po’ di riso con la mano e forma una polpetta, che verrà introdotta in bocca alzando lievemente il velo che copre tutto il viso. Non si deve lasciar intravedere un centimetro di pelle del viso o del collo, tutto deve essere visibile solo al proprio uomo, cioè a quell’uomo che ti ha scelta, così come ha scelto un’altra o altre donne, con cui dovrai condividere la tua vita. Naturalmente Inshallah: se Dio vuole!
Di fronte al porto c’è la fontana King Fahd, con il getto più alto del mondo.
In zona c’è un ottimo ristorante di pesce, Twina, consigliato da un’italiana che vive a Jeddah. Il pesce, freschissimo, sfila sul lungo bancone. Una volta scelto, viene cucinato secondo richiesta: al curry, fritto, con il riso ecc. I gamberi sono buonissimi abbinati ad un cremoso curry.
A proposito di pesce, il mercato ittico è straordinario e l’asta uno spaccato di vita quotidiana.
Io sono una grande amante del mare e naturalmente non posso farmi sfuggire una giornata in spiaggia in ogni paese che abbia uno sbocco sul mare. Jeddah si affaccia su quell’incantevole Mar Rosso, tanto sfruttato in altri paesi (come l’Egitto), ma non qui, dove non vige la cultura dell’abbronzatura.
Ma per noi femminucce non è così facile. Le lunghe spiagge pubbliche che percorrono la città ed i dintorni, sono off limit per le donne, che non possono assolutamente bagnarsi, anzi mantengono il loro abito tradizionale, copertissime, viso compreso.
Gli unici posti dove possiamo metterci in costume sono i Resort privati. Abbiamo provato ad entrare all’Oia Beach Resort, ma il proprietario ci ha confermato che è solo aperto ai soci. Il luogo è decisamente elitario, vista la sfilata di Lamborghini.
Il famoso Silver Sand è chiuso per ristrutturazione. L’unico disponibile è La Plage. Una giornata di spiaggia costa 40€, e, francamente il servizio non è top: i lettini sono decisamente datati, tutti in brutta plastica, così come il materassino che li ricopre, e non viene nemmeno fornito un asciugamano. Ma è decisamente interessante vedere questo spaccato di vita locale, molto diverso dal resto dell’Arabia. Le ricche donne arabe dalle forme molto, molto morbide, sfilano in costume, senza problemi. Ma la cosa curiosa è la cura che prestano, non al fisico, bensì al viso. E proibito fotografare, ma vi assicuro che non ho mai visto così tanta chirurgia estetica tutta insieme. Le bellezze sembrano cloni, occhi perfetti su visi senza rughe. Quasi delle Barbie brune, se non fosse per quell’eccesso di labbra gonfie che rendono il tutto troppo. Ma probabilmente questa è la loro moda ed io sono probabilmente troppo datata per giudicare.
Vi lascio qualche scatto rubato da un amico, non proprio esplicativo, perché le donne riprese sono assolutamente normali.
E si riparte verso il selvaggio. Per ora vi lascio qui. Vi aspetto nella seconda parte del mio viaggio in Arabia Saudita, da Riyad al grande nord.
Ma prima, come promesso, vi faccio sognare, mostrandovi quella libertà così preziosa, che mi ha fatto urlare di felicità proprio qui!