L’Afghanistan lo immaginavo come una cartolina vintage, timidamente ingiallita, di quelle che sbucano dall’espositore lasciato troppo a lungo sotto un sole ridente. L’Afghanistan è così: devi spostare lo sguardo per avere una vista che schiarisca quella sbavatura del tempo e ti proietti verso un ipotetico futuro.
Ma iniziamo dai lunghi vincoli burocratici che mi hanno permesso di intraprendere questa avventura. Per ottenere il visto ho preferito affidare nelle mani di operatori specializzati del settore la mia richiesta che è stata consegnata a mano all’Ambasciata dell’Afghanistan di Roma, con tanto di lettera di invito da parte di un’agenzia turistica afghana legalmente riconosciuta, nonché programma dettagliato del viaggio, con tutti gli spostamenti, gli hotel, i voli interni, nomi accompagnatori con relativa copia di documenti di identità e contatti telefonici, conferma dell’avvenuto pagamento del visto stesso e conferma che tutte le spese del viaggio sono state già pagate e che l’agenzia in loco farà da garante. Tutto questo è stato fatto 2 mesi prima della partenza. Ho atteso ed atteso: malgrado i solleciti regolari, la risposta è arrivata solo 18 giorni prima della partenza, con la richiesta di convocazione per fine settimana presso l’Ambasciata. Ed ecco che ho dovuto organizzare un viaggio Nizza-Roma per incontrare il Responsabile. Il venerdì mattina alle 10:00 mi presento all’Ambasciata. Dopo un lungo interrogatorio, mentre sfogliava attentamente il dossier che avevo preparato (una trentina di documenti), con domande su quale fosse il mio interesse per l’Afghanistan, cosa sapevo del paese, se conoscevo qualcuno sul posto, dove alloggiavo, che lavoro facevo e chi pagava le spese…..il tutto interrotto da un ritornello ripetitivo che diceva : Lei lo sa che l’Afghanistan è pericoloso? senza aspettare una risposta, finalmente mi guarda e dice: “You are welcome in my Country!”, mi consegna il suo biglietto da visita e mi ripete: “L’Afghanistan è pericoloso, stia attenta e per qualsiasi necessità non esiti a contattarmi”. Grazie mille!! I’m so happy!! Ma non mi consegna il visto, mi dice che sarà pronto la settimana successiva. Stress! Perché poi il mio passaporto dovrà essere spedito ed arrivare in tempo per la partenza. Non c’è alternativa e meno male che ho pagato un servizio per questo, altrimenti avrei rischiato di non riceverlo in tempo.
Molti si chiederanno: perché andare in Afghanistan, paese povero e pericoloso, senza infrastrutture, pieno di fanatici religiosi analfabeti e di donne in dolce attesa che sperano di non partorire femmine? Sembrerà banale, ma quando, adolescente, sognavo un giorno di visitare tutti i paesi del mondo, avevo scritto e riscritto la lunga lista in ordine alfabetico e dicevo: prima o poi inizierò a costruire il mio sogno. L’Afghanistan è il primo nome nella lista che ho letto e riletto per anni, quasi una poesia che si impara a memoria. Le nazioni negli anni sono aumentate (pensiamo all’ex URSS, frantumata ora in tanti stati) ma lui non ha mai perso il record di primo paese al mondo in ordine alfabetico.
Nel 1984 Steve McCurry nel suo intento di documentare la crisi umanitaria in Afghanistan (dopo l’invasione dell’Unione sovietica) in un campo profughi del Pakistan, fece la foto che divenne non solo un suo biglietto da visita, ma anche, per me, l’immagine dell’Afghanistan. Gli occhi di ghiaccio color smeraldo di una dodicenne penetrano fino all’anima. Un’espressione che buca lo schermo; sotto la bellezza naturale, vibra l’impotenza della guerra, la paura della povertà e l’incertezza del futuro: così la vedevo io, anche se poi, leggendo la storia di Sharbat Gula (classe 1972), non so se la parola futuro era già nella sua mente.
Certo, tutto questo non basta per giustificare la mia voglia di visitare l’Afghanistan, diciamo che un grande ruolo lo gioca anche quella perversa curiosità che vuole vedere con i suoi occhi se un paese dalla storia antica (dopo l’invasione mongola, ha sconfitto imperi potentissimi, dall’Inghilterra all’Unione Sovietica, fino agli Stati Uniti), sia ora solo famoso per le distruzioni, la droga ed i talebani. Detesto coloro che giudicano un paese e la sua gente, solo per sentito dire….detesto la saccenza di buona parte di elettorato che commenta quanto succede in uno stato senza mai esserci stato.
In realtà la conformazione del paesaggio, montagnoso al 99% , e la maestosa catena dell’Hindu Kurt (con una vetta che raggiunge i 7500 metri) ai margini dell’Himalaya, esplodono di quella bellezza naturale, che nessuno riuscirà a scalfire. La cittadella di Herat è l’esempio di un passato glorioso ed i laghi blu cobalto di Band e Amir sembrano usciti da una tavolozza di Henri Matisse. Un paese che racchiude un eccezionale patrimonio artistico e culturale, considerando anche che l’attuale Repubblica Islamica dell’Afghanistan ha popolazioni tagike, turkmene, pashtun, uzbeke, hazara e molte etnie minoritarie.
Il volo Dubai – Kabul trasporta uomini di affari, militari in divisa ed un paio di persone che fanno parte di qualche organizzazione umanitaria. E poi ci siamo noi 2, una finlandese ed una italiana, pronte a raggiungere due danesi, ed un americano con cui intraprendere questa avventura (doveva esserci anche uno svizzero che ha annullato, dopo l’ultimo attentato in una scuola femminile di Kabul la settimana scorsa, dove hanno perso la vita 55 ragazze). Un signore tenebroso, seduto a lato corridoio mi fissa da un po’ ed immediatamente penso al lungo decalogo ricevuto pre-viaggio. Tra i vari punti: “non dire a sconosciuti il tuo itinerario di viaggio, anche se verrà cambiato ogni giorno, ne’ tantomeno perché sei lì”. D’accordo, sposto lo sguardo e mi metto a fare i cruciverba, visto che anche i giornali di pettegolezzi sono pericolosi (basta una mini scollatura di una velina per essere accusati di pornografia).
Poi, all’improvviso, dall’’oblò, appare la magia, quel regalo che mi piace pensare che madre natura faccia agli impavidi. Dal finestrino, ai piedi di quelle montagne monocolore, un dipinto sinuoso, una scultura così perfetta che sembra creata dalla mano di un artista abile e sensibile.
Pochi minuti ed inizia la discesa, verso quel luogo che perde velocemente la sua bellezza, fino a diventare un colore segnato dal tempo.
E si arriva nell’aeroporto, piuttosto bello, anche se particolare, perché sembra si attraversi una hall che porta ad un altra hall ed ancora una terza….ovunque controlli di sicurezza, compresi cani che, scondinzolando, inseriscono il loro naso umidiccio tra le gambe delle persone ed i bagagli. Mi sembra strano, a cosa servono un secondo controllo e poi un terzo, e poi un quarto, quando ne hai appena fatto uno nella “stanza” precedente? Avrei dovuto spremere un po’ più le meningi e magari ci sarei arrivata da sola! « Non è facile per voi pensare che un terrorista si troverebbe più in tensione se dovesse superare vari ostacoli e quindi lo stress di trovarsi ad affrontare più check points, potrebbe portarlo a farsi saltare in aria prima di entrare nell’ultima hall, quella dove si troverà il maggior numero di persone, che hanno più possibilità di non essere uccise! ».
L’Afghanistan è una nazione così enigmatica ed affascinante perché piena di contraddizioni dal sapore dolce-amaro. Novità e tradizione cercano di mischiarsi, in un paese dove troppi avvenimenti infausti perseguitano una popolazione fiera di una identità culturale dalle radici inestricabili.
L’Afghanistan ha una cultura di migliaia di anni ed una posizione geografica che gli fece giocare un ruolo di primissimo piano nel commercio della via della seta trovandosi all’incrocio tra l’Asia Centrale, l’India e la Persia.
L’ex via degli Hippies è oggi fortemente ammaccata dai lunghi conflitti sanguinari che si sono succeduti. La maggior parte della popolazione non ha mai vissuto in una situazione di vera pace. Un’alta percentuale di bambini non ha accesso al sistema scolastico (oltre il 60% delle bambine ne sono escluse). Fattori socio-culturali, credenze ataviche e miseria colpiscono soprattutto i più giovani (e le donne in particolare): un paese dove quasi la metà delle fanciulle si sposa prima dei 18 anni e purtroppo molte entro i 15 anni. Nel Sud del paese dove c’è un’alta presenza di Talebani, la principale fonte di entrata è l’oppio. Molte scuole sono state rase al suolo perché i bambini devono occuparsi dei papaveri e, se rimangono nella loro ignoranza, saranno fedeli a vita.
Pensate che tra i vari divieti imposti dai Talebani prima del 2002, c’erano gli scacchi e, incredibile, gli aquiloni (per questo l’aquilone è diventato simbolo dei diritti negati). A proposito, uno dei più bei libri mai letti è proprio Il cacciatore di aquiloni, romanzo del 2003 di Khaled Hosseini, scrittore americano di origine afgana. Un appassionante e drammatico racconto ambientato a Kabul negli anni ‘70, con quel lieto fine che tutti sogniamo.
I negoziati di Doha tra il gruppo militante e gli USA fanno sperare in un futuro di pace, anche se si vocifera che i Talebani e la frangia di Daesh, stiano guadagnando terreno. E sembra incredibile pensare ad un paese dove nella negoziazione di pace non partecipa il Governo afgano, che non è riconosciuto dai talebani. Un paese pieno di dubbi, da una parte i Talebani che cercano di limitare le libertà culturali e perseguitano le minoranze etniche, dall’altro le donne che hanno difficoltà ad accedere al lavoro ed alla sanità, in una società patriarcale e misogina (persino le biciclette della nazionale femminile di ciclismo che sognava di prendere parte alle Olimpiadi di Tokyo, sono state distrutte) e l’economia singhiozza.
Lotte e ancora lotte, tra mujaheddin e sovietici, tra talebani e americani, lotte intestine, lotte sempre.
Ora sono quasi pronta a tuffarmi in quelle incredibili meraviglie naturali e culturali da troppo tempo offuscate da orrendi fatti di cronaca.
Ho appena indossato i miei vestiti afgani che mi sono stati consegnati. Quando ho detto: “si sono d’accordo a mettermi i vestiti locali, che bello, così proverò l’esperienza di sentirmi una del luogo! “ mi hanno risposto molto semplicemente : “non era una domanda, DEVI indossarli”. L’abbigliamento tipico è il pashtun:nella variante femminile ha un abito, una lunga camicia ed una cintura, oppure pantaloni che coprano le caviglie ed abito lungo sopra (non si devono assolutamente vedere le forme) e naturalmente il velo, l’importante è coprire il più possibile, e la mia frangia dispettosa sarà il “grande” problema di tutto il viaggio perché ci sarà sempre qualche pelo che sbuca a far capire che non sono una locale. In quella maschile l’accessorio più importante è un turbante perahan.
“khosh amadid be Afghanistan “: benvenuta in Afghanistan
Kabul è enigmatica. Le sue profonde cicatrici, dalle strade con buche a case costruite a metà e abbandonate, racchiudono le contraddizioni di questo paese: il centro storico sembra un film in bianco e nero, un’immensa pianura circondata dalle aride montagne dell’Hinukush. Si cerca uno spazio tra il caos di motorini traballanti e le carcasse di macchine che tirano gli ultimi respiri affannosi incuranti dei semafori, perché totalmente inesistenti. È sicuramente uno dei traffici più congestionati mai visto. Con un sistema di trasporto pubblico insufficiente ed inefficiente, ed un importante incremento della popolazione, è davvero una roulette russa buttarsi in questo gioco, dove il guidatore deve calcolare i centesimi di secondo necessari per far spostare gli x metri del suo veicolo (in lunghezza ma anche in larghezza), solo sfiorando quello che lo circonda. Una prova di abilità per occhi, mani, piedi e cervello che devono sintonizzarsi perfettamente in un lampo….continuo.
Arriviamo davanti ad un anonimo portone di metallo. Escono due militari e, a breve, la porta si spalanca per poi richiudersi alle spalle. Ed ecco di fronte un’altra porta. Stessa scena, finché ci troviamo davanti ….l’Hotel. L’Hotel non è visibile dall’esterno, non ha nessuna insegna.
Una specie di bunker, con una serie di sali, scendi, entrate, uscite…..sembra di andare nella casa del vicino attraversando tutta la casa e passando dalla porta del retro.
Per capire il cuore pulsante consiglio un’immersione in quel folle mercato degli uccelli detto « Ka Faroshi ». Tra cupi vicoli stretti , dove la freccia del sole cerca disperatamente d’infilarsi per creare quel cono d’ombra illuminante, la gente, tanta, si sfiora veloce in una normale giornata di lavoro. Il rumoroso viavai di corpi che contrattano frettolosi è un video in avanzamento veloce. È un luogo pericoloso perché molto affollato, da girare senza nulla, né soldi, né telefono.
Chicken Street, l’iconica strada dello shopping, presa d’assalto in passato da turisti in cerca dell’affare e ‘ oggi sbiadita. Purtroppo vuota con i commercianti dall’aria rassegnata. Un bazar che ti inebria avvolgendoti tra profumi di zafferano e pistacchi, e ti abbaglia tra i colori caldi di tappeti tradizionali, opera di mani delicate che creano una rara bellezza, le armi antiche e tanti souvenir che avrebbero bisogno di una spolverata.
Kabul e’ orrenda: rappresenta una metropoli dal traffico impazzito, caotica, rumorosa, piena di smog, senza personalità. E purtroppo confermo di aver visto alcune cose sconvolgenti, che avevo letto. Un lungo viale, con strada a tre corsie per senso di marcia (che diventano anche 5 o 6 perché le auto giocano come agli autoscontri), in mezzo alberi bassi, poco più che arbusti, su una sabbia morsa dal sole, che creano quel minimo di ombra in una orrendamente afosa giornata di primavera. Ed eccoli, gli ultimi, i senza speranza, da soli o in piccoli gruppi, accovacciati, con la loro testa abbassata in attesa di spiccare il volo. Alcuni si nascondono sotto una coperta, ed aspirano con le pipette di vetro il vapore che si diffonde da una piccola palla scura. L’oppio arriva subito al cervello. L’oppio è una delle “tragedie e ricchezze” di questo paese. L’Afghanistan è il più grande produttore mondiale di oppio, anzi ne detiene il monopolio della coltivazione (oltre il 90%), la materia prima della droga più letale al mondo, l’eroina. È incredibile pensare che la produzione dell’oppio da’ lavoro a oltre 400.000 persone (più della ANSF: Afghan National Security Forces, cioè tutte le forze dell’ordine del paese). Uomini, donne ed anche bambini finiscono la loro misera vita su questa strada trafficata giorno e notte, dove la gente è troppo impegnata a trovare il modo di avanzare in quel traffico assordante, per andare al lavoro, a far la spesa o rientrare a casa, per avere il tempo di scorgere l’unico vero inferno che la circonda. C’è un tragico detto a Kabul: “se non ti uccide la guerra lo farà la tua droga”. I numeri dei tossici sono impressionanti: si stima che in Afghanistan ci siano 2,5 milioni di consumatori, di cui un terzo donne e circa centomila bambini. Sotto il ponte Pule Sukhta, detto anche “ponte dei disperati”, alla fine del viale, c’è la vita che non c’è, un formicaio di storditi, di amebe, di fantasmi che si muovono lentamente, presi da quel vortice che li fa “viaggiare” per l’equivalente di pochi centesimi di dollari (un bulbo concentrato di oppio costa 20 centesimi, e l’eroina circa 3,5 dollari).
I musulmani sciiti sono una minorità nel mondo (circa 15%), il resto sono sunniti.
Shia Mosque è una bellissima moschea dalle intense sfumature turchesi
Si prosegue verso un punto panoramico con vista sulla città, dal Mausoleo del re Mohammad Nadir Sharah e la tomba del Sultano Mohammad sul Tapa Maranjan Ridge
L’unica nota di colore, nelle vie di Kabul, sono le cosiddette “ Wedding Hall” , le location per matrimoni, enormi palazzi stile Las Vegas, completamente illuminati con colori vivaci la sera.
Il matrimonio è una festa per tutti ma qui si raggiunge veramente un livello spettacolare: alla cerimonia possono partecipare anche….Mille invitati. Naturalmente non si conoscono tutti direttamente, ma sono invitati non solo dagli sposi ma da tutta la numerosa parentela. Dopo la conferma del fatidico Si, tanto cibo e poi, via alle danze: i parenti, molto, ma molto stretti, potranno ballare tutti insieme, uomini e donne, mentre la maggior parte sarà separata, da una parte le donne e bambini, dall’altra gli uomini, che festeggeranno ballando tra di loro bevendo litri di chai (il tipico the afgano).
Il National Museum a Kabul è un edificio di due piani costruito nel 1922, distrutto dai talebani nel 1996 e ricostruito completamente. Si trova a circa 9 km dal centro città e contiene reperti archeologici, una collezione di monete e tesori buddhisti ed islamici.
Oggi abbiamo conosciuto un personaggio davvero particolare. In una delle viuzze cittadine abita un amico della nostra guida. Haji Meerzaman è un signore qui molto anziano, di 75 anni (eh si, perché la vita media in Afganistan è inferiore a 65 anni), di professione fotografo, che usa una macchina fotografica di oltre cento anni. Seguendo un rituale degno dei fratelli Lumière, nel cortile di casa, preparatevi a posare per un ritratto nel passato.
Da Kabul a Mazar-e-Sharif ci sono poco più di 400km, ma dovremo prendere un volo. Oggi la strada è troppo pericolosa, tra le operazioni militari e gli scontri tribali, questo tratto è da evitare. La più grande città del Nord è abitata da molte persone di etnia uzbeka e tagika. Si crede che qui riposi Ali, Il cugino e genero del profeta dell’Islam, Maometto. Per questo il Sultano Sanar Seljuk nel 1425 costruì la spettacolare Moschea Blu. Quando il sole illumina le piastrelle decorative è un’esplosione di colori, con la predominanza del blu cobalto. In realtà la maggior parte dei mussulmani crede che la vera tomba di Ali si trovi all’interno della Moschea dell’Imam Ali nel Najaf, Iraq.Il nome della città significa “Tomba del Principe”.
in tutte le città afghane prosperano i tuktuk, di fabbricazione indiana, personalizzati con colori e forme diverse
Fuori città la strada sterrata attravversa un paradiso naturale, un deserto di pietre.
All’improvviso, le pareti rocciose diventano più aggressive ed appare Lei, una delle Salvatrici della Patria.
La “Porta” , the Gate of Charkent, fu costruita nel dodicesimo secolo per bloccare l’avanzata di Gengis Khan. Una porta eroica, perché, più tardi, fermo’ anche l’Armata Rossa che cercava di entrare nella vallata e nel 1998, anche i Talebani dovettero indietreggiare. Per questo la cittadina di Mazar-e-Sharif è una delle più sicure del paese.
Mazar-e-Sharif e’ anche l’inizio di una delle strade più panoramiche del mondo. La Pamir Highway, sulle orme di Marco Polo è un viaggio nel tempo che tocca 4 paesi (Afghanistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan). Un viaggio catartico, più che una cartolina un dipinto, 1200 km attraverso terre selvagge, alte montagne e qualche lago che spunta dal nulla con i suoi intensi colori accecanti. Ho avuto la fortuna di percorrerne gran parte nei miei viaggi precedenti in Tagikistan e Kirghizistan e, da amante della natura, confermo che è uno degli spettacoli più belli mai visti, soprattutto nella parte in Tagikistan al confine con l’Afghanistan, dove sembra di entrare in un paese incantato.
A meno di 90 km si arriva ad Hairitan, al confine con l’Uzbekistan, dopo aver attraversato strade lunghe con molti controlli.
Le città sono fortemente militarizzate, con la presenza di forze armate in ogni angolo, ed è impressionante vedere come, soprattutto fuori città, in mezzo al nulla, si veda sfrecciare una jeep con militari armati. Oppure…deserto…e dietro la curva una garitta con fucili spianati. E perché no, un bel carro armato in attesa. Per questo, è molto difficile fotografare, soprattutto quando si viaggia in auto, rischi di trovarti all’improvviso un qualsiasi mezzo militare e non posso immaginare le conseguenze di uno scatto rubato. Detto questo qualche scatto orrendo con il cellulare l’ho fatto, solo per far capire la situazione.
La zona di confine è orrenda, con villaggi poverissimi e semi vuoti in un caldo pomeriggio primaverile. E si arriva al fiume Amu Darya. La riva opposta è l’Uzbekistan, collegata anche dal famoso “Ponte dell’Amicizia”, costruito nel 1982 dall’Unione Sovietica ed utilizzato dagli stessi fine anni ‘80 per il ritiro dalla guerra. Chiuso nel 1997 quando i talebani attaccarono Mazar-i -Sharif, fu riaperto molti anni dopo. Un simbolo, oltre ad essere comunque l’unico ponte che collega l’Afghanistan all’Uzbekistan.
Purtroppo la povertà è evidente ovunque. Anche fuori città su strade a doppia corsia dove la velocità è elevata si trovano molte donne avvolte nel loro burqa azzurro, accovacciate in mezzo alla strada con la mano tesa. Sembrano un grande sacco azzurro gettato lì come un bidone dell’immondizia abbandonata. Che nodo alla gola!
La lunga strada verso il sud è deserto arido. Avvicinandosi a Takht i Rustam, brulle montagne e tanti campi di angurie, dolcissime.
Takht-I-Rustam (Trono di Rustam) o Stupa di Takht è un complesso monastico buddista vicino alla città di Haibak. È un sito archeologico, interamente scolpito nella roccia, formato da cinque camere, due delle quali santuari.
L’aeroporto di Mazar-e-Sharif è piccolo, con un’unico volo internazionale (per Istanbul) e due voli al giorno per Kabul. Ma i controlli sono incredibili: ben 5 (tutti uguali) in circa 150 metri. Vengono ricontrollati i bagagli ogni volta (appena usciti dal rullo a xray, e poi i cani che fanno il loro giro sniffoso), così come bisogna togliersi le scarpe, ed entrare (solo le donne) nella saletta chiusa dove l’addetta procederà ad un palpeggiamento (compreso sotto i piedi), per accertarsi che non abbiamo armi e droga.
Al primo controllo io sono davanti. Il controllore in divisa mi ferma ed inizia a parlare. Non capisco. Inizia così una discussione tra la nostra guida ed il poliziotto. Tutti passano, la ragazza finlandese ed io saremo le ultime ad entrare. Voleva sapere se viaggiavamo sole….”Ma siamo in gruppo!”. “No, lui chiedeva come mai due donne viaggiano senza marito”. No comment!!!
A poche ore di strada da Kabul si arriva nel Panjshir, dopo aver attraversato villaggi animati e parte di strade dissestate.
La valle è incantevole, circondata dalle montagne dell’Hindu Kush. Un lungo fiume separa verdi vallate, creando quel meraviglioso quadro che dovrebbe portare serenità. In realtà la provincia del Panjshir ha subito l’occupazione sovietica negli anni ‘80.
A 150km da Kabul, nel 1985, sono state rinvenute qui pietre preziose (smeraldi in particolare) superiori ai 190 carati, molto simili ai più famosi smeraldi colombiani di Muzo. Un territorio ricco di risorse minerarie tra cui l’argento. Il nome Panjshir significa 5 Leoni e si riferisce ai cinque Wali, fratelli di alta spiritualità che vivevano nella vallata: a loro si vuole la costruzione della diga (per il sultano Mahmoud di Ghazni, verso l’undicesimo secolo avanti Cristo) che oggi serve ancora come riserva d’acqua.
I controlli sulla strada sono incessanti, ma è interessante sapere che qui i talebani non sono mai riusciti ad entrare, neanche nel loro tragico dominio del paese, dal 1996 al 2001.
All’entrata della Provincia ennesimi controlli molto accurati (compreso controllo interno dell’auto per verificare che non ci siano droni, fucili, munizioni o droga), segue un “Benvenuti nella mia provincia, qui siete tranquilli” da parte del “Capo”, che, contrariamente a chi gli sta intorno non indossa la divisa, bensì una T-shirt (fake) Armani. La strada è piena di cartelloni con le foto degli “eroi, caduti nelle guerre”.
Una strada esteticamente bella, tra montagne piene di linfa e steppe sconfinate,con quell’aria frizzantina e quei ruscelli che creano la nota di colore in un paesaggio dove dominano le tonalità dei marroni.
Qui i Russi furono costretti a ritirarsi e soccombere alla resistenza di quei valorosi mujaheddin della vallata. Restano i carri armati abbandonati, veri trofei di guerra.
E poi l’ennesima lotta contro quei talebani che nel 1995 cercarono l’invasione. Una dura lotta di due anni: Massoud (l’eroe, che ritroviamo in foto ovunque), rifiuta anche l’aiuto delle forze americane e torna vittorioso. Lui, l’eroe, cadrà solo perché vittima di un attacco da parte di finti giornalisti il 9 settembre 2001, due giorni prima del tragico attacco alle Twin Towers. Il mausoleo di Massoud, nel punto più alto della valle, onora il suo eroe.
Mi sono seduta in un ristorante in riva al fiume ed ho apprezzato quel pranzo dal sapore casalingo come se fossi in un giardino reale. Pane ancora tiepido uscito dal forno dal profumo di casa, yogurt naturale, carne di capra con riso e frutta secca, tenero kebab in versione pollo e manzo, anguria dolcissima ed un te’ afgano. Accovacciati su un tappeto che avrebbe tante storie da raccontare con intorno i sorrisi di chi è contento di vedere uno straniero con gli occhi che brillano di serenità. Qui si respira solo pace, o forse mi convinco che sia così, per assaporare fino in fondo il paesaggio bucolico, con qualche asinello che traina un carretto, o le persone a cavallo sotto un cielo pieno di cirri danzanti.
Un signore anziano mi fissa da un bel po’. Mi sento fuori luogo (oggi la compagna di viaggio finlandese e’ rimasta in Hotel: problemi intestinali!). Mi ritrovo unica donna in un ristorante pieno di uomini. Forse il mio capo, che lascia intravedere un ciuffo di capelli, è troppo scoperto? O le maniche del lungo abito troppo corte? O forse una donna non deve ridacchiare e parlare con le mani! Lui si alza, si avvicina alla nostra guida e guardandomi intensamente inizia un lungo blablabla…..Tutto intorno tace: finalmente la guida traduce: “questo signore ha incontrato in questo villaggio una signora francese circa 50 anni fa che ti assomiglia moltissimo e quindi voleva sapere se eri tu”. Grazie, Mister X …..praticamente mi hai dato almeno 70 anni”.
Dopo il rientro a Kabul, ero ansiosa di sapere il programma del giorno successivo. In effetti, quando ho prenotato il viaggio c’era un itinerario giornaliero, ma quando sono arrivata, il primo giorno, mi è subito stato detto che, per motivi di sicurezza, saremo informati solo alla sera sul luogo dove andremo il giorno dopo. Finalmente arriva la notizia che aspettavo: Domani sarà un giorno intenso e partiremo alla scoperta di quell’Afghanistan che sognavo, prendendo tante misure di sicurezza, perché, purtroppo, i posti più belli sono anche i più complicati da raggiungere.
Ma prima vi lascio una carrellata di scatti presi dall’auto che chiamerò : “I Commercianti”, perché loro sono una delle ricchezze del paese.
A presto con Afghanistan (Seconda Parte)
2 risposte
Cara Laura,
I tuoi racconti sono interessantissimi !
Sii prudente, mi raccomando.
Quando torni ?
Un abbraccio
Federica
Cara Federica, mi fa molto piacere il tuo commento. Spero ti piacerà anche la Seconda Parte,che pubblicherò a breve, decisamente più « dura » specie per noi donne. Io sono tornata ed ho già finito la quarantena, quindi sono tornata alla « vita normale ». Un abbraccio