Avete mai pensato che il menhir di Obelix ha la forma di Sri Lanka?
Se avete sete di aromi, di profumi, di barriti di cuccioli prepotenti, di canti di uccelli che irrompono da mangrovie aggrovigliate, di spezie che colorano i piatti e infiammano il palato, di tutte le tonalità di verde, di balli di pavone, di gattoni maculati, di te’ dalle mille fragranze, andate in Sri Lanka.
Sono atterrata a Colombo una domenica mattina. Quando si sbarca, dopo il controllo passaporti, si attraversa una fila di negozi Duty Free, molto curiosa per la merce in vendita: frigoriferi, lavatrici, televisori, ferri da stiro ed altri oggetti piuttosto voluminosi da casa. È la prima volta che vedo un Duty Free di questo genere.
Un’informazione importante per chi starà un po’ in questo paese. Subito dopo l’uscita dei bagagli, all’interno dell’aeroporto a sinistra c’è uno stand con scritto Dialog. Questo è il posto migliore dove fare una carta SIM: per trenta giorni, con meno di 7€ hai oltre 6GB al giorno più 350 minuti di chiamate locali e circa 10 minuti di chiamate in Italia: basta dare passaporto e contanti ed in meno di cinque minuti siete in contatto con il mondo.
La città è calma, il caldo ha forse richiamato le persone verso le spiagge di periferia e mi ritrovo a fare un giro turistico tranquillo.
Il tempio di Gangaramaya si trova in centro città e la sua essenza culturale si sposa con la modernità. Sembra di entrare in un negozio bazar. Una stanza coloratissima ospita il Buddha, mentre altri Buddha minori sono posizionati su una scalinata.
Un quartiere esclusivo (che ospita anche la casa del Presidente) è Cinnamon Garden. In giro per la città appaiono molti vecchi edifici coloniali con quella bellezza senza età. Naturalmente oggi la maggior parte è stata trasformata in luoghi di lavoro, molti in banche.
La piazza della libertà (parliamo del congedo dagli inglesi nel 1948) ha una specie di mausoleo aperto.
Galle Face Green è la lunga passeggiata con il mare da una parte e dall’altra moderni grattacieli, che sorgono accanto a casette malconce. Le spiagge di città sono strette e la gente si rinfresca, sotto un caldo sole invernale.
E poi, tra case trascurate e strade sbalzanti, e grattacieli che svettano verso il cielo, appare lei, la torre più alta del sud-est asiatico, la Lotus Tower, che con i suoi 350 metri (poco più della Tour Eiffel), domina la città e le polemiche per la sua costruzione. Nata per fungere da torre televisiva e migliorare le comunicazioni, ha visto sparire i 18 milioni di dollari nelle tasche della compagnia cinese che aveva ottenuto l’appalto. Le polemiche sono le stesse che ho visto in Africa: gli investimenti cinesi vengono accolti dal governo, che poi non è in grado di estinguere i debiti con le banche. Un modo un po’ strano per la Cina di legare a se molti paesi.
Per iniziare una mattinata speziata vi consiglio un buon piatto di String Hoppers… sottili capelli d’angelo in due versioni, con farina di riso e rossa. Il condimento è un misto di salse: dal curry giallo ad un curry scuro, molto piccante, entrambi con morbido pesce stufato, ad una salsa fresca di cocco, peperoncini, pomodoro e polvere di curry. Con la mano destra si paciocca il tutto formando delle specie di polpette, da portare direttamente in bocca: mi raccomando, MAI toccare il cibo con la mano sinistra, che si usa per la pulizia intima. Per i mussulmani è vietata la carne di maiale mentre per i buddisti la mucca, in quanto donatrice di latte, è assimilabile alla madre, quindi sarebbe preferibile evitare la carne di bovino.
Grazie a Sharah, (che sarà il mio autista per quindici giorni in giro per il paese), per avermi spiegato molto sul cibo locale.
Sulla strada che porta verso Sigirya, si passa da Kurunegala, una cittadina caotica, contornata da colline: su una di queste domina un Buddha gigante.
E poi risaie e risaie, si alternano a palme da cocco, in un susseguirsi di sfumature di verde. Autobus locali con le porte aperte corrono come schegge con i clacson a trombetta, Tuk-tuk dalle varie fogge e carri trainati da buoi, la vita scorre tra i villaggi che si alternano a cittadine
Banchetti vendono frutta, tra queste gli ottimi cocchi gialli: viene fatto un foro per bere il liquido. Alla fine il cocco viene tagliato a metà: un pezzo di cocco serve da cucchiaio per poter raccogliere la morbida polpa all’interno.
Ed eccoli i resti di una civiltà incredibile. Una roccia megalitica gigantesca alta trecento metri, anticipata da giardini acquatici e rocciosi. La bella Sigirya, patrimonio Unesco dal 1982, appare su una pianura verde di linfa. Sembra una bella roccia immensa, ma per avvicinarci al cielo e scoprire il tesoro che nasconde, bisogna armarsi di quella forte motivazione, anche fisica. Ben milleduecento gradini, duri, durissimi: ho pensato molte volte di tornare indietro, anche quando, finalmente sono apparsi i primi affreschi interessanti. Ninfe celesti e damigelle in abiti succinti: nel regno di Kashyapa, le tantissime fanciulle erano rappresentate nella loro bellezza. Ora ne rimangono davvero poche, cancellate da quei monaci che hanno vissuto in quelle grotte e volevano allontanare tutte le tentazioni. Ed eccola finalmente l’entrata della cittadella: Lion Rock (il nome Sigiryia deriva da Sihagri cioè Rocca del Leone), due zampe enormi, o perlomeno ciò che resta del leone che serviva come entrata nel regno di un re malvagio chiamato Kashyapa, vissuto tra il 477 e 495 AC, che uccise il padre (murandolo vivo) poi usurpò il trono al fratello, cui spettava di diritto. Il re fece costruire il regno in un posto impervio e difficile da raggiungere, sia per paura di una vendetta da parte del fratello, che per essere più vicino al cielo. Anche il re, comunque, fece una brutta fine, tagliandosi la gola al ritorno dall’esilio in India. Sigirya tornerà ad essere un monastero buddista fino al quattordicesimo secolo, quando verrà completamente abbandonata. Riscoperta, oggi mostra solo dei resti che però fanno capire la perfezione del lavoro svolto, sia a livello ingegneristico sia idraulico sia urbanistico: tecniche avanzatissime per l’epoca. Si possono immaginare grandi piscine e splendidi giardini, un’opera artistica di immane bellezza abbarbicata in un luogo così difficile da raggiungere.
Ed il tramonto sembra un sogno ad occhi aperti.
A volte mi piace lasciare la strada classica. Ed ecco la mia splendida mini avventura nella natura, detta “Tuk-tuk Safari”
E poi tornano le risaie….con i contadini costretti a fare le sentinelle dall’alto, per paura che gli elefanti rovinino il raccolto
Poco distante da Sigirya sorge Dambulla, famosa per un altro patrimonio Unesco, un luogo sacro, ben conservato. Grotte-tempio, il Dambulla Cave Temple è formato da più caverne che contengono statue e pitture splendidamente conservate, che riguardano la vita del Buddha
Vicino a Dambulla c’è una piccola guesthouse gestita da una splendida famiglia, con vista lago. Shashin Lake Resort è semplice, pulitissima. La famiglia che la gestisce (e vi abita) è sempre sorridente e disponibile. Al mattino, mentre fai colazione, ti vedi la signora, elegantissima in abiti tradizionali, che sta pettinando i lunghi capelli della bambina con olio di cocco, prima di comporre delle meravigliose trecce con grande maestria. La bambina ha la divisa di un bianco candido e sembra pronta ad una sfilata di moda: in realtà sono le sei e trenta e si prepara per andare a scuola.
L’antica Ceylon, profuma di spezie e di tè. La zona di Matale verso Kandy è famosa per le spezie. Immensi giardini, alberi volenterosi di frutti che vengono trasformati in dolci salvavita. Il dottore spiega la medicina naturale con delicatezza e ti fa entrare in quel mondo lentamente, tra profumi e consistenze da spalmare ovunque. Dall’uso cosmetico a quello curativo, per finire con tutte le spezie usate in cucina. Segue un massaggio ayurvedico che ti riporta in pace con il mondo e, dulcis in fundo, una tazza di vero cacao che ti fa risvegliare e partire per un’altra giornata di meravigliose scoperte. Ci sono tantissimi giardini, sulla strada, tutti con un numero. Io ho visitato il numero 6, posto da vedere assolutamente: il Regent Spice Garden, con un dottore che parla anche italiano.
L’Orfanatrofio di Pinnawala accoglie dal 1975 gli elefanti orfani, creando un habitat naturale dove le creature possono vivere una vita serena. Orfani di madre, rifiutati dal branco, alcuni sono stati feriti, levandogli anche le zanne con violenza. Molti non sarebbero sopravvissuti, ed hanno trovato qui un rifugio, per alcuni a tempo determinato, fino a quando, ormai pronti a tornare ad una vita normale, vengono riportati nella savana. I più deboli restano nella casa-famiglia dove la vita scorre tra bagni nel fiume Maha Oya, e passeggiate, accompagnati dai mahut, (colui che guida e di prende cura dell’elegante per tutta la vita). Non ho capito però perché alcuni sono spesso tenuti in catene. Mi hanno detto che il posto è diventato troppo turistico, tappa fissa anche per le crociere e, purtroppo, forse, la vita di questi elefanti è diventata più da zoo.
Kandy è la seconda città del paese, ricca di cultura e storia. Si è sviluppata molto perché si trova al centro del paese. Non è una metropoli, ma è caotica e sperando in un turismo di massa (che, secondo me sta già arrivando) sono state fatte attrazioni turistiche discutibili.
Il cuore della città è il lago artificiale Bogambara, ma il turista viene qui soprattutto per vedere il Tempio del Sacro Dente, Sri Dalada Maligawa, considerato uno dei luoghi sacri al buddhismo. Si ritiene, secondo una leggenda, che la reliquia di uno dei quattro denti estratti al Buddha dopo la sua morte, sia conservato all’interno del tempio.
A pochi chilometri i giardini botanici, rimembranze della presenza inglese nel paese.
Sempre intorno alla città fabbriche di te’ dove potete fare una visita guidata, con degustazione. Io l’ho fatta e la consiglio assolutamente.
E poi capita che devi entrare in camera e loro sono lì in agguato!
C’è una zona in Sri Lanka dove ho lasciato parte del mio cuore. La strada che da Kandy porta a Nuwara Eliya è un vero spettacolo della natura. La strada si inerpica in paesaggi mozzafiato tra piantagioni di te’ dal color verde smeraldo, anche se il termine è improprio. Credo che in realtà esista la tonalità di “verde delle piantagioni dello Sri Lanka”. Impossibile da descrivere, un colore che abbaglia ed inebria ed assume sfumature diverse, non solo nelle varie ore del giorno, ma anche da dove lo guardi. Un colore che sa di linfa, di vita, di nascita, di felicità, si, lo chiamerei così, il verde felicità!
Il te’ è simbolo dell’identità nazionale ed ha tantissime declinazioni, che vanno assaporate lentamente, in silenzioso rispetto.
Una curiosità : anche Mr Lipton visito’ questo paese nel 1890 ed ebbe la visionaria idea di trasformare in piantagioni alcuni spazi. I prezzi di vendita del te’ scesero drasticamente e quella che fino ad allora era considerata una bevanda per l’alta borghesia, divento’ popolare….. tutto il resto è storia!
Gli altipiani, spettacolari paesaggi montuosi, la vegetazione rigogliosa e su, per strade impervie e sinuose, fino a quasi 1900 metri.
Ed i villaggi, pietre preziose incastonate
Un percorso tra villaggi, dove, in un giorno di festa, la gente si mette in ghingheri e le processioni colorate si muovono tra l’allegria e le danze.
Ed eccoci nella campagna inglese, tra splendide dimore Very British. A Nuwara Eliya si respira il profumo del te’ delle 5: i pionieri inglesi, impegnati nell’industria dell’oro verde, hanno cercato di creare l’atmosfera di casa in questa cittadina, ed oggi restano splendidi edifici di stile vittoriano.
Il famoso ufficio postale
E la biblioteca pubblica
Ed un parco che conduce ad un bel lago dove si possono fare tantissime attività, come andare a cavallo o fare un giro in barca
Nuwara Elya, essendo in montagna, ha un clima non propriamente tropicale: siamo a metà gennaio e di notte la temperatura può scendere anche a 6-7 gradi: le guesthouse non hanno riscaldamento e solo un buon Masala tea può riscaldare l’atmosfera freddina della notte in questa dolce città.
Un campo da golf ben curato si espande tra il centro e le piantagioni di te’
il mercato coperto è pieno di profumi e colori
A circa otto chilometri da Nuwara Eliya, c’è Nanu-Oya, una piccola stazione dei treni, che dorme tranquilla, fino a quando arriva il famoso treno da Kandy ed orde di turisti partono all’assalto. Salire sul trenino delle stelle è uno dei tragitti più popolari di un viaggio in Sri Lanka. C’è chi lo prende da Kandy, ma mi hanno confermato che la parte più panoramica è da Nani-Oya. Le carrozze si riempiono di turisti armati di macchine fotografiche. Il posto finestrino è il più ambito: il mio fantastico autista è riuscito ad aggiudicarsi per me un finestrino lato destro, il top!
Lo scricchiolio segue il tuono sbuffoso della partenza: « tutti in carrozza! » e via….attraverso la prima ondata di risaie e orti e piantagioni da tè che sembrano quadretti dipinti a mano.
Tra curve inebrianti e venditori di calde samosa croccanti che si spostano con fatica tra i vagoni che arrancano. Si sale, tra tunnel bui e ponti mozzafiato: i villaggi lasciano lo spazio a foreste, impenetrabili giochi di luce filtrano tra alberi altissimi. Ed i turisti si sporgono dal treno per uno scatto da brivido.
E finalmente, dopo due ore e mezza di natura, lo sbuffo lungo, come il sibilo del pifferaio magico, annuncia che ci siamo. L’ultimo stridio ed in lontananza tuk-tuk in fila, pronti ad accoglierci per una nuova avventura.
Benvenuti ad Ella, abbarbicata su dolci montagne. La immaginavo un po’ più esotica: centinaia di cartelli indicano che oramai il turismo è esploso e tutti sono diventati osti e ristoratori, ma tant’è e bisogna anche capire che questa gente ha bisogno di rinascita. Il paese ha subito guerre civili (tristemente famosa quella dal 1983 al 2001, con la tregua firmata tra il governo e le tigri Tamil). E non si può dimenticare il terribile maremoto, che, il 26 dicembre 2004 devastò le coste meridionali ed orientali con un bilancio ufficiale di 40.000 vittime. E, come se non bastasse ad un paese con le ossa rotte, il 21 aprile 2019, il terribile attentato di matrice jiadhista che portò l’orrore in una tranquilla domenica di Pasqua, con oltre 250 vittime e 500 feriti. Lo Sri Lanka si alza e cade per rialzarsi dinuovo: un popolo tranquillo, che ha subito invasioni da parte di molti europei (portoghesi, olandesi, britannici), che in gran parte pratica il buddhismo Teravada, e che vuole solo vivere serenamente. Il turismo è in ripresa dopo troppi tempi bui, ma non basta, e spero che il paese trovi la sua serenità.
Ella è la tappa prediletta per chi ama la montagna: sentieri panoramici portano a Little Adam’s Peak, uno sperone di roccia con vista sul mondo. Ma non solo, Nine Arches Bridge, uno scenografico ponte ferroviario (l’avevo percorso ma la vista non è certo la stessa cosa, dall’alto!), le cascate Rawans Falls, 80 metri, immerse in una natura delicata e molti altri sentieri per gli amanti del trekking, tra l’aria che diventa frizzante verso sera, in tempo per gustarsi un cocktail in uno dei tanti locali che hanno aperto nella via principale.
Il mio amore per gli animali è immenso: quando mi trovo in un paese dove c’è la possibilità di fare un Safari, sicuramente questo rientra nelle mie priorità. Ho deciso di provare un fai-da-te di mezza giornata (pomeriggio) a Udawalawe, parco famoso soprattutto per un gran numero di elefanti. Mi sono ritrovata sola su una jeep da 6 posti con un bravo driver ed uno straordinario naturalista: Ruwan è un ragazzo dai grandi occhi neri, sempre sorridente, appassionato del suo lavoro che ti presenta i 31000 ettari del parco come se fossero casa sua. Le deviazioni un po’ fuori dal giro classico e soprattutto l’occhio sempre attento, mi hanno fatto vivere un Safari straordinario, con incontri meravigliosi con i grossi pachidermi. Ma nel parco la fauna abbonda: Udawalawe è anche un paradiso per gli amanti del birdwatching, e poi si incontrano bufali, sciacalli, coccodrilli, cervi selvatici. Non vi aspettate grandi foto, nel mio blog io pubblico solo foto fatte con l’I-phone che, ovviamente ha i suoi limiti.
Al mattino, prima di lasciare Udawalawe, mi fermo alle 9:00 all’Elephant Transit Home, fondato nel 1975 per aiutare i cuccioli di elefanti. Purtroppo si stima che ogni settimana vengano uccisi in Sri Lanka tre elefanti. Questi cuccioli vengono assistiti, nutriti inizialmente ma poi addestrati (da abili conoscitori della specie) a procurarsi il cibo da soli. Quando sono abbastanza forti per poter iniziare una vita libera vengono reintrodotti nella natura (verso i 5 anni). Si possono vedere, ma solo dietro una staccionata a dovuta distanza: questo fa sì che non si abituino ad essere toccati dalle persone. In realtà è molto bello vederli correre sereni: sembra di essere in una scuola materna quando suona la campanella della ricreazione. Tutti corrono verso la poppata: qualcuno emette urla forti per farsi spazio, con un po’ di prepotenza. Dopo la colazione si gioca: davvero un posto etico, dove la barriera tra noi e loro è il grande rispetto che dovremo avere. Francamente molto diverso da altri posti (discutibili) su come si devono trattare gli animali. Tra l’altro con un contributo si può adottare un cucciolo.
Per ora vi lascio qui, ma il mio viaggio continua e vi garantisco che la seconda parte del mio Sri Lanka parte con un altro incontro, davvero straordinario, per me il più emozionante in assoluto. E poi una bella pagina sul cibo locale, colorato e profumato, con quella nota molto piccante che adoro.
Quindi state connessi e seguitemi in: Sri Lanka (seconda parte )dal Parco di Yala alla Costa sud Occidentale