Sguardo aggressivo, di chi cerca la sfida, sempre, passo felpato ma sgraziato, brutta, di quella bruttezza da zitella acida, urlo tonante e aspro, che scuote il torpore notturno come se il cielo si fosse spaccato. “Born to be wild”: nata per essere selvaggia. L’ho sentita la notte scorsa: anche le stelle hanno smesso di brillare dopo il grido straziante che rimbomba nel silenzio della savana. Urlava la sua presenza, un avviso per tutti gli abitanti della zona. Lei, la regina degli inferi, girovaga notte e giorno, con quella bocca sempre assetata di sangue. Di tutti i predatori per me è lei l’animale che rappresenta il selvaggio per eccellenza. Quando si vedono i leoni, sornioni sotto la calura nel loro ronf ronf pomeridiano o i leopardi, appollaiati su un albero, con le zampe penzoloni e lo sguardo da fusa, all’improvviso appare lei, la strega brutta e cattiva, con il mantello irsuto e stropicciato, con quel sorriso intriso di sangue fresco, e l’atmosfera diventa gelida, perché lei, piccola ma forte, sgraziata ma agile, lei non si ferma mai. La sua sete di morte è la sua vita. Nell’equilibrio della natura tra prede e cacciatori lei è la vera Diana, quella a cui non sfugge nulla.
Benvenuti ad Etosha, savana pura, mai un parco a tema, ma una dura lotta per la sopravvivenza. La iena mi guarda: non c’è nulla di dolce in lei. Una fattucchiera, una strega, una gran voglia di vendetta contro gli altri carnivori, che sono il suo opposto, belli, eleganti e dal portamento nobile.
Ma come ogni cattivo delle telenovelas, anche lei ha il suo fascino, forse perché rappresenta tutte le negatività possibili, e, poiché io sono una che ama tutti gli opposti (e odia quello che è a metà, nella vita di tutti i giorni, in tutto…. amo il bianco ed amo il nero, detesto tutte le sfumature di grigio, quel, un po’ a destra ed un po’ a sinistra), adoro la iena, perché lei è il total black, quell’essere arrogante ma determinato, colei che non vuole essere simpatica a tutti i costi, colei che preferisce la solitudine a false amicizie.
Etosha è savana pura, un vero circo con due spettacoli al giorno, quando c’è la luce per i bambini e quanto scendono le tenebre per gli adulti.
I trapezisti, le gazzelle e le impala, iniziano il loro numero, saltellando a velocità supersonica, intorno ad elefanti paciosi.
poi è il turno delle giraffe che, da eccellenti contorsioniste, si accovacciano per bere, in una posa dove l’equilibrio e la forza fisica si intrecciano.
Ed ecco il domatore, che dirige da lontano con sguardo felino il grande gruppo di Wilder beast, antilopi, gnu, orici, springbok, ecc.
Al ruggito le zebre si raggruppano in pose plastiche e si preparano a creare una lunga sciarpa iuventina, che colorerà la pallida savana.
Gli elefanti preparano la loro coreografia.
Un, due, tre, GIU’
Un, due, tre, SU
Anche gli sciacalli vogliono partecipare e fanno la loro danza intorno al cerchio, con la coda alzata in segno di attenzione. Ed un meraviglioso otocione (volpe dalle orecchie di pipistrello), fa il suo ingresso trionfante nel gruppo
E poi c’è lui, pienamente conscio della sua bellezza, che cammina vanesio con lo sguardo intriso di quella superiorità da maschio Alfa. Sembra che abbia appena lasciato i resti di un lauto pranzo e si accinga a raggiungere la sua dolce metà con un passo lieve, sotto i raggi velenosi del pomeriggio. Lei lo attenderà sotto un albero e, come da legge primitiva, si sposterà, affinché lui, padrone del focolare, possa avere il luogo migliore per la sua siesta pomeridiana. Passo felpato ed elegante e criniera che ti invita ad abbassare lo sguardo in segno di riverenza.
Il Parco Etosha è esattamente come un puzzle: tutte le tessere, prese da sole non contano nulla, sono assolutamente insignificanti, ma quando si mettono insieme, appare il quadro perfetto! Il Parco Etosha è caratterizzato da un Pan, una depressione salina, arida e desertica per la maggior parte dell’anno (ad esclusione della stagione delle piogge), così luminosa da far bruciare gli occhi, e poi all’improvviso vere e proprie macchie di vegetazione. Il Pan era in passato immerso dall’acqua fino a quando i fiumi che lo nutrivano hanno cambiato il loro corso e sono finiti nell’Oceano Atlantico.
“Etosha” nella lingua Ovambo (tribù locale) significa “piacevole luogo bianco”. Nel 2001, alcune riprese di Odissea nello Spazio sono state girate proprio qui, in questo incredibile luogo non luogo.
Ci sono vari Lodge in diversi posti. Tutti hanno la pozza d’acqua, dove si possono avvistare gli animali che vengono a bere nelle diverse ore del giorno, ma soprattutto la notte. Io sono stata all’Halali Camp, non male, al Namutoni Lodge (dove c’è anche un forte tedesco),
Ma il luogo più incredibile è stato il Camping Olifrantus. È un posto per campeggiatori, piuttosto piccolo ed ospita solo tende o caravan.in realtà il vero gioiello di questo luogo è lo chalet costruito sopra una pozza dove vedrò uno spettacolare viavai di animali, un paio di leoni con la loro nobile criniera, gruppi di elefanti che faranno scappare alcuni sciacalli, molte zebre e, verso sera, lui, Rino….solitario.
Una cosa fantastica dell’Etosha NP è che lo si può visitare da soli, con la propria auto, non si deve per forza prenotare un tour organizzato, quindi i tempi sono i vostri. Ci sono 4 Gates di entrata, con orari da rispettare (semplicemente perché potrete trovare la porta chiusa), e 6 diversi posti dove passare la notte, tra Lodge più o meno lussuosi o semplici campeggi.
Fuori dal parco, non lontano, vivono dei popoli seminomadi. Gli Himba sono conosciuti come i belli d’Africa : le donne dedicano grande cura al loro aspetto fisico. Sinceramente, quando sono stata in un villaggio più a nord, 4 anni fa, avevo visto molte ragazze bellissime. Oggi sono stata in un villaggio molto più piccolo, solo 3 uomini e 7 donne, con stranamente pochi bambini. Socievoli, anche se la lingua è una barriera, ma comunque l’ingresso nel gruppo è fatto con una persona del luogo che spiegherà la vita semplice e metodica del villaggio.
La Namibia riserva davvero sorprese incredibili, è un enorme museo a cielo aperto, basta avere tempo ed un’auto e partire per le strade interminabili che sembrano un set cinematografico.
Il Damaraland è un ambiente semi-desertico, dai colori sorprendenti e con paesaggi che ti farebbero pensare”Benvenuti in Arizona”: stesso terreno arido, sabbia rossa, arbusti spinosi ed, in alcuni punti, gli immancabili cactus, tra villaggi seminabbandonati, e qualche collina brulla.
Seguiremo la C40 poi la C39, strade panoramiche che finiranno per diventare di terra battuta, bianca, fatta di sassolini ribelli, avvicinandosi alla Skeleton Coast.
Il Palmwag Lodge è sperduto, in mezzo ad un deserto crudo, un’oasi di pace, dove riposarsi prima di partire alla scoperta dei dintorni: la montagna bruciata e Twyfeltfontsin, sito archeologico (patrimonio dell’Unesco), non lontano dalla foresta pietrificata.
E poi la strada cambia, non appena si entra nel parco della Skeleton Coast, passata la Springbok wasser Gate.
Al mattino presto una fitta nebbia (che mi ricorda l’autunno del Piemonte della mia infanzia), che copre l’orizzonte. L’autunno regala immagini interessanti, anche se non eravamo più abituati al freddo, piombato così, all’improvviso.
La strada è dritta, in mezzo ad un deserto di sabbia e sassi con sfumature dal beige al marrone ed in alcune zone cespugli color verde asparago. Un paio di sciacalli attraversano la strada, con l’andatura di un cane agile e orgoglioso.
Ed eccoci immersi nell’atmosfera inquietante di questa costa, la Skeleton, dove tutto è straordinariamente drammatico. Alcuni relitti sono ancora visibili, simbolo di naufragi in quelle secchie rabbiose che non hanno lasciato scampo a quei navigatori troppo ardimentosi, che hanno osato avvicinarsi alla costa. I navigatori portoghesi sostenevano che il destino di una nave arenata in quella zona (e dello sfortunato equipaggio) era tragicamente segnato.
Amo quest’atmosfera surreale, centinaia di chilometri di sabbie di ogni colore, aride, mal dipinte: non c’è nulla di bello, ma c’è una sorta di fascino in questo insieme, in questa natura così straordinariamente ribelle.
E, a grande sorpresa, in lontananza,due balene, che mostrano le loro pinne impertinenti: le meraviglie della vita.
All’interno i resti di una stazione di estrazione del petrolio abbandonata
E poi c’è una meravigliosa sosta sulla strada: Cape Cross, l’habitat di migliaia di dolcissime otarie. Tantissimi cuccioli guardano curiosi e si avvicinano con l’ingenuità di chi non conosce ancora le cattiverie della vita. Grandi occhioni, buffi suoni, e movimenti sgraziati ma un momento pieno di grande dolcezza.
Pronti per la pappa??
Qualcuno discute animatamente : “allora, adesso che mi sono sfogato per bene, facciamo pace?”
Eh già…..Baci stellari!!!! Baci, ovunque e sempre baci!!!
La Namibia è quello strano paese dove la guida è all’inglese ma alcune cittadine sono totalmente tedesche.
Ritorna il deserto crudo, fino a quando, all’improvviso, appare una visione. I primi gruppi di case sono condomini bassi, di fattura europea, moderni, con ogni confort.
Swakopmund è un po’ americana, con molte casette ad un piano, con garage accanto, ed un po’ tedesca, non ha assolutamente nulla di africano. Le precipitazioni qui sono davvero scarse, ma in compenso la fredda corrente oceanica trasporta umidità sotto forma di nebbie mattutine, ed il vento a volte è straordinariamente violento.
Malgrado la Germania abbia perso la sua colonia nel 1915, molti ristoranti sono tedeschi: gli avventori si ritrovano davanti ad una Wiener schnitzel di maiale, con la Weiss bier come a casa, e poi bratwursts e stinco di maiale al forno, un trionfo di crauti, e, naturalmente, kartoffeln (patate) a gogo. Brauhaus è un’istituzione nella città, un ristorante dove quando ti siedi ti viene spontaneo guardare dalla finestra ed immaginare il passeggio della Maximilian Strasse di Monaco di Baviera. I Biergarten (birrerie tipicamente bavaresi) si affacciano sulle vie principali.
Ed anche i negozi di antichità espongono solo oggetti tedeschi
Già, perché questo è un posto privilegiato dai pensionati teutonici, che vengono a svernare qui, e trovano le stesse cose di casa. Negozi di abbigliamento German style (donne taglie over), supermercati fornitissimi di prodotti europei, e caffè moderni, con panetterie che sfornano delicatessen tutto il giorno, come la mitica Apple Pie (o crumble), un misto tra torta di mele e strudel, il cui profumo aleggia nell’aria e risveglia i sensi. Viali grandi, pulitissimi, attraversano la città, con negozi di souvenir che qui sono davvero di buona qualità. Scarpe di ottima fattura, con vera pelle locale, di tutti gli animali del bush. Un posto unico, con ottimi ristoranti.
Da buon amante del cibo, ne ho provati parecchi (e sono tornata in due che conoscevo già) e vi assicuro che è difficile trovare in Africa una città piccola con così tanta scelta.
A colazione c’è un posto mitico, semplice ma con una meravigliosa scelta di pesce (molto affumicato): The Fish Deli. Provate le aringhe nelle varie declinazioni, o i gamberi, o i calamari.
A cena, le scelte sono tantissime. Gli amanti di pesci e crostacei, correranno sul lungo molo, per raggiungere Jetty1905, un’istituzione pieds dans l’eau, dove le ostriche hanno il profumo ed il sapore di quel mare indomito.
Un altro posto conosciutissimo, all’inizio del molo, è: the Tug, un mercantile rivisitato, con vista mare dove, tra canapi, ceppi e fiamme e filacce, il pesce del giorno trionfa tra verdure croccanti e ottimi vini del confinante Sud Africa.
Swakopmund è una tappa obbligata, dopo la Skeleton Coast e prima di partire per le mitiche dune del Sud. Ma è anche una sosta per gli amanti di sport estremi. Eh già, questa volta ero pronta al primo skydiving della mia vita, volevo veramente provare l’adrenalina del lancio, con vista mare-deserto ma, ahimè, il tempo atmosferico è tiranno, con la nebbia e il grigiume che costringono ad annullare la prenotazione. Peccato, sarà per la prossima volta!
A pochi chilometri dalla città dorata, c’è un quartiere, anzi una città nella città che sa di Africa. Mondesa è nata dopo gli anni ‘50, anche per i lavoratori delle miniere di uranio, una baraccopoli dove, in buona parte, non c’è luce ne’ acqua. Ovambo, Damara, Herero e Ovahimba, sono alcune delle tredici etnie che vivono qui. Un tour viene organizzato da ragazzi che sono nati qui. Pius è una guida turistica: dopo un passato difficile, ha trovato la sua strada nella legalità. Certo, il giro è turistico, ma ti permette comunque di vedere questa realtà, attraverso il mercato locale (fatto di poche cose), l’orfanatrofio, la scuola, e l’incontro con qualche donna del luogo.
Alla fine una cena in un piccolo ristorante, con un’esibizione dal vivo da parte di un coro locale. La cena è composta dalla tradizionale polenta bianca, che va presa con la mano destra. Si forma una sorta di palla, da intingere nel sugo di fagioli, o spinaci cremosi, o carne. Oppure serve per accompagnare la specialità del luogo, i vermi e bruchi, che avevamo visto al mercato: dopo che sono stati essiccati, vengono immersi nell’acqua, che li ammorbidisce , e poi sottoposto ad una profonda friggitura. Ottimi…… farò il pieno di proteine!
Alcune curiosità: vi ho già parlato degli Himba (visti al nord). Qui ho incontrato alcuni Herero, l’etnia più numerosa. Come gli Himba sono allevatori, purtroppo decimati dalla politica di sterminio attuata dai colonizzatori tedeschi per appropriarsi delle loro terre. Furono proprio i tedeschi che imposero un cambio di costume: gli abiti succinti furono così sostituiti da lunghi e voluminosi abiti (gonfiati da numerosi strati di sottogonne) realizzati con stoffe colorate con disegni geometrici. Inconfondibili i loro cappelli che ricordano le corna di vacca….Sembra la moda vittoriana dell’ottocento in Europa.
Una caratteristica interessante dell’etnia Damara, è il loro linguaggio, detto “la lingua dei clic”, che possiede ben 4 suoni, da modulare facendo schioccare la lingua più o meno attaccata al palato o contro i denti. È molto difficile da applicare, ed il risultato è veramente particolare.
Nella baraccopoli le case sono in lamiera, anche perché qui in inverno fa davvero freddo.
Lasciata Swakopmund la strada torna color ocra, un nastro fatto di polvere per centinaia e centinaia di chilometri. Ogni tanto un barlume acceca: le piccole pietre rosa, bianche, verdi, brillano sotto il sole. Oltre 300km, prima di arrivare a Sossusvlei, una magia della Namibia, dopo aver oltrepassato il Tropico del Capricorno.
Siamo nell’incredibile Naukluft Park: una grande zona naturale protetta (Pari circa all’area della Svizzera), nel deserto del Namib, il quarto più grande parco nazionale del mondo. Un quadro meraviglioso fatto da alte dune di sabbia dal vivido colore arancione, dovuto all’ossidazione delle particelle di ferro presenti nella sabbia; le dune più antiche sono quelle dal colore più intenso, l’ossidazione infatti aumenta col passare del tempo. Una magia, un incantesimo.
Le dune di Sesriem hanno un color ocra che varia nelle ore della giornata. Il tratto dalle dune (la più famosa è Dune 45) e le pozze senza acqua del Sossusvlei (con quegli arbusti secchi circondate da sabbia), sembrano un set cinematografico. Il paesaggio trasformista prende forma, tra dune che vengono regolarmente modellate dal vento. E poi eccola un’ambientazione lunare : il bianco latte della terra si alterna al nero degli alberi morti e al rosso della sabbia intorno. Sossusvlei è davvero fotogenica, senza trucco, una bellezza senza età.
Salire sulle dune è un’esperienza unica, gli scarponcini affondano in una sabbia morbida, sollevando un pulviscolo dai mille colori, e se si ha la fortuna di avere un bel cielo blu, sembra di salire verso le stelle. In cima lo spettacolo è straordinario: immaginate un immenso mare di velluto rosso che si perde all’orizzonte.
Si riparte verso il sud, ma le sorprese, in questo meraviglioso paese non sono finite. Come avete visto la Namibia è Africa, è Europa, ma è anche America: il Fish River Canyon, che si trova nella parte più meridionale del Paese, è un posto che sembra più americano che africano perché ricorda tantissimo l’enorme faglia degli Stati Uniti, Un canyon di 160 km, largo in alcuni punti 27 km con una profondità di 550 metri.
All’uscita del Canyon, c’è un delizioso luogo, dove passare la notte. Oltre allo spazio per piantare la tenda, il Canyon Roadhouse ha delle camere rustico-chic, totalmente immerse nell’atmosfera deserto-vintage. Sembra un ritorno agli anni ‘60, tra auto d’epoca e memorabilia varie. Anche la piscina ha una sua distinta personalità. Un grande ristorante che raccoglie centinaia di motori d’epoca. Un’atmosfera divertente e coinvolgente con i camerieri pronti a improvvise performances di canto e ballo, tra litri di birre e piatti American style.
Spesso, quando si torna in un posto che hai amato, dopo alcuni anni, si resta delusi, anche perché le aspettative sono tante. Ebbene la Namibia non solo non mi ha delusa, ma dopo quattro anni, ho ritrovato la stessa atmosfera coinvolgente, la bellezza infinita di un paesaggio che non ti dà il tempo di annoiarti perché muta così velocemente che vorresti inseguirlo per coglierne l’intimita’. Come una creatura effimera e sfuggente, che appare e scompare lasciando solo un alone di profumo inebriante che ti stordisce. I miei sogni si fermano qui, lascio un pezzo del mio cuore in quest’angolo di mondo….. verrò a riprenderlo prima o poi.
Nell’attesa corro verso il confine…..dopo quasi sei mesi, inizio a sentire profumo di casa…..i vigneti del SudAfrica mi attendono ed una degustazione tra i filari mi riporterà con la mente alla mia terra natia, ma solo per poco, perché la mia avventura africana continua.
,
2 risposte
Aspetto con ansia i tuoi nuovi articoli, Lauretta, perchè sono sempre straordinari, danno una visione profonda, esauriente, “da dentro”, dellè realtà che visiti, non è lo sguardo di una turista ma di una viaggiatrice che filtra ciò che vede con estrema intelligenza, sensibilità e acume, dagli orrori dei paesi più ostici e per noi alieni alla bellezza infinita di luoghi più vicini alla nostra realtà, come l’incredibile Namibia! Grazie!
Grazie, Cara Amica, non sai quanto mi rendi felice. I tuoi commenti sono veramente la ciliegina sulla torta!!