Ho visto la prima Gazzella al confine. Portamento regale, i movimenti sinuosi accompagnati dal vento che crea delle onde e ombre sui vestiti coloratissimi, con le tonalità eccessive per chiunque, ma non per una Gazzella. Il corpo affusolato, le braccia lunghe e delicate. La cesta sulla testa. Le gazzelle sono tra le più belle donne del mondo. I Wolof sono uno dei popoli più belli del mondo. Tutto in loro è grazia: corpi perfettamente scolpiti, color ebano dorato sotto un sole violento per tutti, ma non per loro. E mani lunghe, ben modellate, che sfiorano il vento con una delicatezza che sa di poesia. Il Wolof è il Senegal, ed anche la lingua che rappresenta la loro origine e la loro storia, con parole che derivano dal francese, dallo spagnolo, dall’arabo.
Quando attraverso il Senegal vivo tra l’emozione dell’Africa nera e l’Occidente che appare con le magliette dei bambini con i loro calciatori preferiti.
Prima di St. Louis il parco di Dijoudi è un’oasi naturale, dove vivono uccelli di molte specie tra cui pellicani, aironi, ibis, cicogne, anatre. Uno dei più importanti parchi ornitologici del mondo.
Saint Louis è un posto particolare, una città enigmatica. Il primo insediamento francese in Africa risalente al XVII secolo e capitale dell’Africa Occidentale francese dal 1958 al 2002. L’antica capitale del Senegal, è patrimonio dell’Unesco. il caratteristico centro storico si trova su un’isoletta, al centro del fiume Senegal, collegata alla terraferma da un ponte in ferro risalente al 1897 e lungo 507 metri, costruito da una ditta francese.La corrosione ne rese necessaria la ricostruzione nel 1931. Altri interventi di riparazione si resero necessari negli anni Novanta, ma questi non furono sufficienti a garantire la perennità dell’opera. il ponte fu restaurato ulteriormente ed è stato inaugurato il 19 novembre 2011, dal Presidente della Repubblica del Senegal, Abdoulaye Wade.
Nel 2000 il ponte è stato classificato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanita’. La città ha vecchi edifici coloniali malandati, decadenti, con le infinite sfumature dell’ocra, in attesa di una nuova vita. Alla prima occhiata sembra una brutta cittadina, ma alzate lo sguardo e studiate meglio quello che a primo acchito sembra solo decadenza.
Il fascino della città lo vivi facendo un giro in calesse. Dalla parte nord, più tranquilla, di edifici coloniali, con i caratteristici balconi in legno, attraversando le sue stradine, si raggiunge il sud ed il distretto popolare di Guet Ndar abitato dai pescatori, un ghetto, un vero e profondo inferno dantesco.
In alcuni angoli l’odore acre, insopportabile, di pesce steso ad essiccare o solo lasciato lì senza seguire la catena del freddo, inesistente. Miseria e dignità. Tutta la vivacità e l’atmosfera dell’Africa sono qui, in una zona di un chilometro di lunghezza per cento metri di larghezza, vivono ben 24.000 persone.
Ho preso una guida, perché m’incuriosiva sapere qualcosa di più di questo popolo. Abden ha circa 35 anni, un diploma di guida turistica ottenuto dopo il liceo, parla bene inglese, naturalmente wolof e francese, ma sta anche imparando lo spagnolo. È buffo quando ad una mia domanda risponde: “la vecchia generazione faceva molti figli, io ho 12 fratelli e sorelle, ora se ne fanno molti meno,6-7. Io ho studiato e so cosa vuol dire sacrificio. voglio che i miei figli vadano a scuola ed abbiano una vita più facile. Nel quartiere mi considerano uno strano perché voglio pochissimi figli, una famiglia molto, molto ristretta, perché la vita è cara. Ora ho tre figli, ne farò ancora uno poi basta. Insciallah! “.
Le piroghe, vivacemente colorate, sono tante, ammassate in un porto troppo piccolo, ma molto pittoresco, anche se la vista è offuscata da tonnellate di immondizia. Questa zona è di grande autenticità anche se i turisti non sempre sono ben visti.
Molti abitanti di Saint Louis, sono di etnia peul, il colore della pelle è più chiaro rispetto al resto del paese, ma è il loro accento che colpisce, un francese strascicato, a volte devo chiedere di ripetere perché non capisco.
“Bonjour toubab” (bianco): tanti salutano con allegria, anche se molti oramai iniziano a chiedere soldi non appena metti la mano sulla macchina fotografica. Eccola, la vita di strada africana più vera, dura, quella che ti fa brillare gli occhi, estasiandoti con i suoi colori solari e allegri, ma anche quella che ti fa riflettere fortemente sulla sua ingiustizia. Purtroppo i due opposti si attraggono, da una parte sorridi per la vivacità e la gioia dei bambini che cantano, corrono, ridono in strada, dall’altra le mani tese chiudono lo stomaco. I bambini sono ovunque, spuntano come il prezzemolo. Abden mi conferma che in Senegal il 50% della popolazione ha meno di 18 anni!
La pesca è la loro vita: aringhe, sgombri, ma anche grandi marlin.
Sulla strada sfrecciano sgangherati minibus locali, con alcuni ragazzi (non paganti) in piedi sul predellino posteriore, aggrappati alle portiere completamente aperte.
Una sosta gastronomica nel ristorante Darou Salam, una trattoria a tutti gli effetti, dove la specialità è il Thiebou-diene : Riso bianco, o rosso, cotto nel sugo dove è stato precedentemente cucinato il pesce con aglio, cipolla, concentrato di pomodoro, spezie piccanti e vari tipi di verdure (melanzane, carote, cavolo, manioca); è considerato il piatto nazionale senegalese. Sapore intenso e aromatico, con quel piccante che adoro. Una combinazione di odori, sapori e consistenza che mi appagano completamente. Ed il luogo è anche pasticceria, con golosi dolci, molti a cucchiaio. Mi è piaciuto così tanto che ci sono tornata il giorno dopo. Alla fine del pasto la cameriera mi porta un thé alla menta ed uno straordinario dolce a bicchiere: crema, cioccolato, biscotto, e ancora crema, cioccolato e biscotto, tanti strati di delizia. “Cadeau du boss!”. Lo ringrazio e chiedo perché: lui mi risponde che è onorato perché sono tornata, ed è molto contento che io abbia apprezzato la sua cucina. Come fai a non innamorarti di un paese così!
Un delizioso Hotel è La Résidence, in una delle vie del centro. Si respira un ambiente d’altri tempi, tra arredamento prettamente coloniale ma con tutti gli agi moderni. Sorseggiando una spremuta di arance si osservano ricchi uomini d’affari che discutono e donne in splendide mises coloratissime con cappelli coordinati nel rito del thé giornaliero. Il caffè dell’hotel ospita un biliardo ed un pianoforte, ed è stato il set di parecchi film.
E poi amo il sense of humour senegalese: il taxista che mi riaccompagna a fine giornata mi chiede: “hai conosciuto Abdjul?” “chi?” Abdjul, la miglior guida che abbiamo, l’unico dall’inglese perfetto.”. “No, ho conosciuto Abden “. “ Non esiste nessun Abden, qui, che fa la guida”. “ma no, guarda, mi ha pure scritto il suo nome e numero di telefono su questo foglio, sicuramente lo raccomanderò ai miei amici perché è un ottima guida”. Guarda il foglio, lo gira, lo riguarda, poi risponde: “ah, forse Abdjul si è dimenticato come si scrive il suo nome! “.
Arancione, giallo, azzurro, viola, verde : i vestiti sgargianti delle sinuose curve femminili risaltano sul nero ebano della loro pelle e sul bianco luminoso dei loro sorrisi. Ma non amano essere fotografate, anzi, si irrigidiscono, si coprono ed imprecano in una lingua incomprensibile semmai punti l’obiettivo verso di loro. Peccato, sono davvero belle!
I circa 270 km che separano St Louis da Dakar sono per la maggior parte di strada asfaltata. Si attraversano villaggi dove donne vendono angurie, datteri, mandarini ed arachidi. Un saldatore sta lavorando su un pezzo di lamiera, con i finti rayban, I bambini corrono e chiedono soldi. Purtroppo, spesso, anche ragazzoni alti e muscolosi, con cellulare in mano, ci guardano e urlano : “Donnes moi l’argent”. Lui, bello come il sole, forse 25 anni o poco più, denti perfetti, bianchi, maglia del Barcellona nuova collezione, seduto su uno scooter neanche tanto datato, auricolare e musica assordante. Mi guarda e dice: “ehi, dammi dei soldi”. “Perché?” “Per dar da mangiare ai miei figli”. Quando chiedo cosa fa tutto il giorno mi risponde: ascolto musica e aspetto che ci sia qualche partita in tv. Gli dico che per avere soldi occorre lavorare, io ho lavorato duro 25 anni ….. mi risponde: « ah! si, si, voi bianchi siete ricchi, lo vedo in tv, siete tutti ricchi ». C’è qualcosa di sbagliato in tutto ciò, qualcosa di orrendamente errato, ma non so di chi sia la colpa e mi sento improvvisamente spersa.
Tra un villaggio e l’altro la strada corre.
E poi, all’improvvisamente, in mezzo a distese aride di sabbia rossa e cespugli e palme, appare lui, il Re della Natura, Sua Maestà il Baobab, un’icona della forza, della potenza, la quintessenza dell’Africa. Spesso è solitario, imponente, autoritario, è come se la natura intorno si piegasse in segno di riverenza verso il Vecchio Saggio. Il Baobab in Senegal non è soltanto un albero, ma un simbolo. In molti villaggi, sotto il baobab si riuniscono gli anziani, giocano i bambini, si tengono persino le udienze dei giudici. E poi questo straordinario albero è costituito da un particolare legno spugnoso capace quindi di trattenere litri e litri di acqua al suo interno, fino a 120 mila. Si utilizza tutto del baobab: la buccia del frutto come tabacco, dal frutto il latte usato per condire il couscous, il guscio come contenitore, le foglie, ricche di vitamina C, zucchero, calcio , ferro e potassio invece vengono mangiate come fossero verdura, oppure si fanno bollire e se ne ricava una salsa. Una leggenda africana racconta che i Baobab sono stati puniti da Dio perché troppo fieri della loro stessa bellezza, e quindi sono stati rivoltati a testa in giù, con le radici fuori anziché la chioma. Questo per spiegare l’originale sagoma che, al tramonto, assume un aspetto magnifico e quasi spettrale.
« Ça va les blancs? », che strana domanda: « tutto bene bianchi? » . L’autobus locale che porta nella capitale è Africa vera. Panchine sgangherate di finta plastica. Davanti, protetta da una spessa pelliccia sintetica ingrigita dal sole e dalla sabbia, un’enorme cassa stonata che ulula musica senegalese a tutto volume. E intorno scacciamalocchio (come spaventapasseri) pendono ovunque. Fa tenerezza la scarpa rosa da bambina, con i cuoricini bianchi, appoggiata sulla cassa. « È stata usata da tre delle mie figlie! »Risponde con orgoglio Dodu, il guidatore.
Se pensate che vostro figlio sia disordinato, fate un giro in Senegal, nei villaggi, ed andrete oltre la vostra immaginazione. Il caos vero è qui, tra donne con bambini appollaiate sul marciapiede a vendere frutta, asini carichi che attraversano la strada, mucche che scodinzolano tra auto che cercano la loro via d’uscita in un labirinto sempre più intricato. E poi ogni tipo di mestiere, li sull’orlo della strada, dal saldatore al sarto, al lustrascarpe, al venditore di cellulari, al macellaio con la carne appesa sotto un sole da quasi 40 gradi, e tanto street food.
Dakar è la città degli estremi, dove carretti sgangherati trainati da asini trotterellano sull’autostrada e SUV ultimo modello, appena usciti dalla fabbrica, entrano in minuscole strade fangose. Donne elegantissime affondano i loro tacchi a spillo nella polvere e uomini d’affari con la camicia inamidata si inginocchiano all’improvviso sul marciapiede per raccogliersi in preghiera. Non posso dire che sia una bella città, anche se i locali cercano di fartela vedere con grazia: « la Corniche sul mare è come la Promenade des Anglais di Nizza ».
Ed è giunta l’ora di una visita importante. Se non si conoscesse la sua storia, si potrebbe chiamare L’isola delle farfalle e delle bougainvilles. L’île de Gorée, raggiungibile in mezz’ora di traghetto da Dakar, è patrimonio Unesco dal 1978. È un posto simbolico della storia della schiavitu’. Nella casa degli schiavi sono transitati milioni di africani strappati alla loro terra d’origine per essere portati, fatti schiavi, nelle Americhe. La casa della schiavitu’ racconta il viaggio dell’orrore. Da notare la porta che da’ sul mare, dove venivano imbarcati gli schiavi più forti e buttati in mare i più deboli. Molti presidenti e personaggi famosi, hanno visitato quest’isola (tra loro, Mitterand, Obama, Hillary Clinton, Bettino Craxi, Papa Giovanni XXIII) per rendere omaggio a questo luogo di riflessione e consapevolezza del significato della giustizia e della libertà. L’isola ha il fascino di un poeta maledetto, un po’ macabro, misterioso e affascinante al tempo stesso. Dopo aver letto la triste storia dello schiavismo, se si salgono le scale della casa Rosa e si chiudono gli occhi, sembra di sentire le strazianti urla di dolore di chi ha toccato le pareti di quelle anguste celle. Oggi, l’isola è un gioiello. Passeggiare tra case coloniali, in mezzo ad edifici in pietra lavica, circondati da bougainvilles su stradine di sabbia, su un’isola dove non esistono auto e milioni di farfalle bianche che svolazzano serene…sembra un set di un film, l’ambientazione di una fiaba per bambini, come se questo posto finalmente avesse la sua rivincita. Oggi l’isola vive di turismo, gli abitanti sono circa duemila, in prevalenza di religione musulmana, ma con una buona percentuale di cattolici. Nella Chiesa di San Carlo Borromeo, nelle principali feste, viene celebrata la funzione religiosa accompagnata dai canti e dalle percussioni di tamburi djembe. Nella zona alta dell’isola, chiamata “le castel” ci sono i banchetti del mercato con i loro souvenirs colorati e più avanti si possono ammirare i dipinti e le sculture dei pittori e artisti qui residenti. Un’oasi di pace che favorisce la meditazione e la consapevolezza. Credo che restare qui la notte, quando i turisti hanno ripreso la via della terraferma sia un regalo immenso per la mente.
Tornando a Dakar, è il momento di assaggiare altre delizie senegalesi, che sono davvero tante, dal pollo yassa, pollo ripieno con un sugo composto da un frullato di olio, dado, marinato nel succo di limone con senape e pepe, cotto poi a fuoco lento con moltissima cipolla, senape, pepe, aglio e aceto di vino. Viene servito accompagnato da un piatto di riso bianco cotto a parte. Il pesce yassa è un pesce tagliato e farcito con un frullato di olio, dado, pepe e aglio, cotto in gratella e successivamente marinato nel succo di limone con le cipolle. Viene servito accompagnato da un piatto di riso bianco cotto a parte. Ottimo anche il Mafe’, carne di pecora o manzo cucinata con olio e pomodoro, con successiva aggiunta d’acqua e pasta di arachidi. Il piatto è pronto quando l’olio in cui è stata cotta la carne viene in superficie e viene servito accompagnato dal riso bianco. Un ristorante tipico, molto carino, con piatti senegalesi preparati secondo la tradizione è Chez Loutcha.
Una gita fuori porta da Dakar (a circa 35 km….. ma attenti, si possono impiegare anche 4 ore per arrivarci…..tra il traffico infernale della città) è il famoso Lago Rosa o lago Retba. E’ chiamato così per le sue acque rosa, causate da alghe presenti nell’acqua che producono un pigmento rosso rendendo le acque colorate. In realtà di rosa non ho visto nulla, solo un rosso aranciato, anche se mi hanno detto che il colore è particolarmente visibile durante la stagione secca, quindi ora. Il lago è anche noto per il suo alto contenuto di sale, che, come quella del Mar Morto, permette alle persone di galleggiare facilmente. Il lago era il punto di arrivo della famosa Paris-Dakar, oggi trasferita in America Latina.
Ma l’Africa del nostro immaginario è animali, natura e animali. A poco più di 60 km da Dakar, verso sud, c’è una Riserva deliziosa, la riserva di Bandia. A differenza dei parchi, le riserve offrono la certezza di incontrare gli animali ed ammirarli da vicino! Tremila e cinquecento ettari di pura gioia, immersi nella savana, in quella natura da La Mia Africa, uno dei miei film preferiti con due attori straordinari come Meryl Streep e Robert Redford. A bordo di un camioncino aperto che porta 9 persone, con una guida che illustra la flora e la fauna, tra terra rossa e temperature bollenti, la vista di ben due rinoceronti sembra un miraggio. No, sono proprio veri, così come le decine e decine di giraffe che attraversano la strada con il loro portamento goffo, e le zebre, con le striature troppo perfette, e la famigliola di facoceri che riposa vicino a mangrovie e scimmie rosse che si spulciano sotto il re della savana, Mr. Baobab. E poi struzzi, antilopi di varie specie e bufali che fanno la siesta. Insomma un’arca di Noe’. E, lungo il fiume, coccodrilli che si abbronzano al sole. Ad un certo punto appare lui, un gigante vecchio baobab sacro: uno dei tanti del territorio. Tradizionalmente si dice che i griot (Nella cultura di alcuni popoli dell’Africa Occidentale, il griot è un poeta, il cantore, colui che svolge il ruolo di conservare la tradizione orale degli avi) non potessero essere seppelliti come gli altri abitanti del villaggio. La loro salma era dunque introdotta nelle cavità dei grandi tronchi di questi baobab. Ed ecco il grande foro da cui si intravedono ossa e resti.
Lasciamo la Riserva per dirigerci a Sud, dove i nostri amici che hanno proseguito il viaggio.
Vi lascio qui! Alla prossima puntata…..verso il Sud del Senegal, il Gambia e la Casamance.